Juric ha vinto il duello tattico. Un allenatore serve a questo: a fornire ai giocatori strumenti e soluzioni che permettano di rendere oltre il loro reale valore. Quel che è mancato al Napoli 2020-21
Il replay di Napoli-Cagliari
Nell’analisi tattica di Napoli-Cagliari, pubblicata sul Napolista lo scorso 3 maggio, scrivevamo: «Sta succedendo la stessa cosa avvenuta a ottobre/novembre, quando il Napoli cominciò a ristagnare intorno al gioco di Osimhen». In un passo successivo, aggiungevamo: «Come avvenuto più volte come nell’arco di questa stagione, alla squadra di Gattuso è mancato un sistema che gli permettesse di andare oltre la componente episodica delle partite».
Da allora non è cambiato niente, anche perché è passato poco tempo. Sì, il Napoli ha vinto tutte le gare disputate da allora – contro Spezia, Udinese e Fiorentina – e in alcune di queste ha dimostrato di saper/poter condurre in porto un risultato con relativa tranquillità. Ma l’ha fatto solo perché i suoi migliori giocatori hanno offerto una prestazione di livello, non si sono bloccati e/o non si sono fatti bloccare dagli avversari. Ovvero, le due cose successe in occasione di Napoli-Verona, e che hanno portato al pareggio contro la squadra di Juric.
Cos’ha fatto Juric
La squadra gialloblù è scesa in campo per giocare la sua partita classica. L’ha fatto in maniera ordinata, senza sbavature. E alla fine ha pienamente meritato il risultato finale. Esattamente come il Napoli di Gattuso che ha meritato di non vincere perché si è letteralmente consegnato agli avversari dal punto di vista tattico. Non è un caso che l’analisi parta da qui. Anzi, deve (o dovrebbe) partire da qui: è stato chiaro fin dai primi minuti di gioco come il Napoli sia sceso in campo frenato dalla paura. Ma non si può ridurre il calcio a un esercizio emotivo. Non a certi livelli. La verità è che Juric ha preparato la partita in maniera logica, e ha fermato il Napoli. La squadra di Gattuso, invece, non ha fatto nulla per cercare di cambiare il proprio destino. Anzi, i correttivi a partita in corso hanno solo aumentato la confusione.
In realtà, Juric non ha fatto nulla di particolarmente sofisticato o trascendentale. Semplicemente, ha costruito ed eseguito un piano in tutte le fasi di gioco. E con quel piano ha completamente inibito i suoi avversari. Tutto parte dall’idea di autodeterminare il contesto, cioè di imporre un certo ritmo, una propria visione alla partita: per farlo, il tecnico dell’Hellas ha pensato di cancellare – o comunque ridurre – la pericolosità di Osimhen con una marcatura a uomo (affidata a Gunter) che gli togliesse aria e soprattutto profondità. A prima vista questa strategia potrebbe ricordare quelle degli anni Ottanta, anche perché si è manifestata esattamente come nel calcio di quaranta o trent’anni fa. Solo che in realtà la marcatura di Gunter era slegata dal sistema difensivo dei compagni. Un sistema molto aggressivo, quindi estremamente moderno.
In alto, un frame esplicativo: il Napoli recupera il pallone in alto e riparte in contropiede; Gunter è appiccicato a Osimhen, e gli toglie completamente la profondità; accanto a lui, Ceccherini e Dimarco corrono all’indietro per recuperare la posizione dopo la perdita del possesso. Sopra, i dati del baricentro riferiti al primo tempo: neanche due metri di differenza, quindi il Verona non è venuto solo a difendersi, anzi a giocare una partita di grande intelligenza e intraprendenza.
Come si vede chiaramente dallo screen e dai dati sul baricentro, il Verona non ha aspettato il Napoli. Né tantomeno ha giocato la partita solo per fermare Osimhen. Secondo Juric, invece, bloccare l’attaccante nigeriano era un modo – probabilmente l’unico modo – per poter tenere il controllo tattico della gara. Il tecnico dell’Hellas ha avuto pienamente ragione, perché il Napoli ha mostrato di non avere alcun piano alternativo – alternativo al lancio per Osimhen, intendiamo – che potesse cambiare l’andamento del match. L’unico altro meccanismo che si è visto più volte è stato il tentativo di azionare Lozano sul lungo, con sventagliate dalla difesa e/o dalla fascia opposta, ma non ha funzionato. Anche perché il messicano ha offerto una prestazione davvero abulica.
La stessa cosa si può dire di Osimhen, che è stato annientato completamente dal suo marcatore diretto. Gunter l’ha sistematicamente anticipato, e le poche volte in cui non ci è riuscito l’ha saggiamente portato fuori dalla zona in cui poteva essere pericoloso. Non a caso, il difensore tedesco dell’Hellas è stato il miglior giocatore in campo per numero di palloni intercettati (4), ovvero di possessi recuperati senza ingaggiare un contrasto con un avversario, e per numero di spazzate decisive (4).
Sopra abbiamo scritto che il Napoli ha vinto le ultime partite solo se – e quando – quando i suoi migliori giocatori hanno offerto una prestazione di livello. Ieri sera, invece, tutto questo non è successo. Anzi, Osimhen è stato bloccato dalle scelte tattiche dell’allenatore avversario e ha pure giocato una pessima partita. A un certo punto, visto l’andamento della gara, al Napoli sarebbero servite delle modifiche tattiche che cambiassero lo scenario. Delle soluzioni che permettessero ai giocatori azzurri di esaltare le proprie doti o di sfruttare i difetti della strategia avversaria. Per capire cosa intendiamo, basta guardare – di nuovo – al Verona di Juric, alle scelte fatte dal tecnico croato.
Dietro le linee
Sì, perché – come già anticipato – Juric non ha solo pensato a bloccare Osimhen. Ma ha anche schierato e programmato il Verona perché sfruttasse i punti deboli del Napoli. È una questione di spaziature – cioè di modulo tattico – ma anche di principi di gioco. La squadra gialloblu ha giocato con un sistema estremamente fluido, un 3-4-2-1 nominale che si trasformava in un 3-5-2 asimmetrico in fase offensiva, tutto spostato a destra, ma che poi diventava 5-4-1 in fase difensiva.
Il 3-5-2 asimmetrico del Verona si determinava in questo modo: Zaccagni diventava seconda punta accanto a Kalinic; uno tra Dimarco e Lazovic prendeva la fascia, lasciando all’altro la gestione del pallone dei mezzi spazi; in questo frame, è Dimarco (teoricamente centrale di sinistra della difesa a tre) ad attaccare sull’esterno.
Come si vede chiaramente da questo screen, l’idea – riuscitissima – di Juric è stata quella di sovraccaricare il lato sinistro del campo con tre giocatori: il braccetto della difesa a tre (Dimarco, che in realtà è un terzino di spinta), l’esterno a tutta fascia (Lazovic) e il trequartista di parte (Zaccagni). Spesso, poi, da quella parte tagliava anche Kalinic, con i suoi classici movimenti a portar via un centrale avversario. Non è un caso che il tecnico croato abbia insistito proprio da quel lato (il 45% delle azioni del Verona è stato costruito a sinistra): si tratta della zona di campo presidiata da Lozano (un giocatore sempre abbastanza svagato in fase difensiva), Fabián Ruiz (il centrocampista del Napoli meno abile nella pura interdizione) e Di Lorenzo.
Come per ogni cosa del calcio – e della vita – gli errori e le mancanze di preparazione acuiscono fatalmente le prestazioni negative. Così Di Lorenzo si è trovato a dover gestire una vera e propria burrasca, una serie continua e ripetuta di passaggi tra le linee di difesa e centrocampo che trovavano sempre un uomo smarcato – spesso Zaccagni, a volte anche Lazovic che stringeva dall’esterno – e ha finito per smarrirsi a sua volta. Si può dire che il terzino ex Empoli abbia giocato la sua peggior partita dell’anno.
In alto, un’azione avviata da dietro che trova Zaccagni dietro le linee del Napoli. Sopra, tutti i palloni giocati da Dimarco, Lazovic e Zaccagni: non solo esterni di fascia, ma anche elementi che si sono fatti trovare nei mezzi spazi – teoricamente – occupati dal Napoli.
Ma, come mostrato ampiamente, sarebbe ingiusto – ma soprattutto sbagliato – ridurre tutto questo a una serata negativa di Di Lorenzo, così come alla (pessima) condizione emotiva del Napoli. La verità è che Juric ha vinto il duello tattico con Gattuso dal primo all’ultimo minuto. Perché un allenatore serve proprio a questo: nel corso della settimana, e/o delle partite, deve fornire ai propri giocatori degli strumenti e delle soluzioni che gli permettano di rendere oltre il loro reale valore. Nel Verona, questo lavoro è iniziato quando è arrivato Juric, che fa sempre giocare la sua squadra in un certo modo e contro il Napoli ha aggiunto delle varianti per limitare dei valori specifici della squadra di Gattuso. Nel Napoli 2020/21, questo plus si è manifestato in pochissime occasioni. Anzi, quasi mai.
I cambi dopo il pareggio
In virtù di tutto questo, il Napoli non è riuscito a fare praticamente nulla dal punto di vista offensivo. A fine partita, la squadra di Gattuso ha fatto registrare un totale di 2 tiri in porta, il gol di Rrahmani e il tentativo di Politano del minuto 92′. Tra le conclusioni finite fuori, l’unica degna di nota del primo tempo è stata quella di Insigne al 32esimo minuto, un bel sinistro finito appena fuori. Ma si è trattato di un tiro casuale, nato da una sovrapposizione interna del capitano azzurro sul centro-destra – toh, una variabile offensiva – dopo una percussione di Lozano sulla fascia. Poi, nella ripresa, sono arrivati il gol di Rrahmani su azione d’angolo e il pareggio del Verona su un lancio lungo valutato malissimo da Hysaj, che si è fatto scappare Faraoni alle spalle.
Ovviamente il problema della partita contro il Verona non è stato l’errore grossolano del terzino albanese. O meglio: in un contesto in cui il Napoli è apparso del tutto privo di un piano partita offensivo oltre il lancio per Osimhen, l’errore del singolo deve passare in secondo piano, per quanto grave. A quel punto, però, il meglio (peggio) sul piano tattico non si era ancora manifestato. Dopo il gol di Faraoni, infatti, Gattuso ha deciso di inserire, in sequenza: Mertens al posto di Zielinski, passando di fatto al 4-4-2; e poi Petagna al posto di Bakayoko, passando a un sistema di gioco non definibile.
In questa azione, Fabián Ruiz gestisce palla a centrocampo in posizione di pivote; le due mezzali ai suoi lati sono Politano e Mertens.
In questo modo, come si vede nello screen appena sopra, ha completamente svuotato il centrocampo, e così ha permesso al Verona di difendersi in maniera semplice: facendo densità negli spazi e in area di rigore. Dal minuto numero 81′ al minuto numero 95′, cioè dall’ingresso di Petagna fino al fischio finale, il Napoli ha tirato verso la porta di Berardi per 3 volte. Una sola conclusione ha centrato lo specchio, quella di Politano al 92esimo; gli altri 2 tentativi, ancora di Politano e di Petagna nei minuti di recupero, sono finiti fuori. Fuori di poco, sì. Ma entrambi sono stato frutto di azioni personali e/o casuali, del momento di disperazione. Non di uno schema, non di un’idea. Niente di costruito, niente di tattico.
L’inadeguatezza di Gattuso
Ecco, è proprio qui che si è manifestata l’inadeguatezza di Gattuso. Come in tante altre partite di questa stagione, il tecnico calabrese si è avvitato su sé stesso, su ciò che aveva in mente. Non ha dato alla sua squadra degli stimoli nuovi con cui provare a cambiare l’inerzia della partita. Il Napoli doveva vincere contro il Verona sfruttando la verticalità di Osimhen, e magari poteva anche essere una buona idea, visto l’andamento e l’esito delle ultime gare.
Ma se Juric è riuscito a bloccare in partenza quell’idea, sarebbe servito fare altro. Perché, lo ripetiamo ancora: il calcio, soprattutto ai massimi livelli, è un gioco di tecnica, di tattica e di emotività. In quest’ordine. Cioè, i fattori emotivi restano importanti, ma prima vengono altri aspetti. La tecnica e la tattica, appunto. E dove non arriva la tecnica (dei giocatori), per qualsiasi motivo, deve esserci la tattica. Ovvero, il contributo degli allenatori.
La differenza nella preparazione e nella gestione della partita Napoli-Verona segna la reale distanza che passa oggi tra Gattuso e Juric. Questo non vuol dire che il tecnico croato avrebbe portato la squadra azzurra in Champions League – qui subentrano altre dinamiche, legate all’adattabilità tra un gruppo di giocatori e le idee di un allenatore – ma di certo sottolinea l’inesperienza di Gattuso rispetto a quello che dovrebbe essere il suo lavoro: preparare la sua squadra per vincere le partite, farlo attraverso un lavoro sul campo – ma soprattutto di campo – che ne esalti i pregi e ne nasconda i difetti.
Conclusioni
Gattuso ha dovuto gestire una rosa senza una reale identità tattica e poi un periodo in cui si sono concentrati diversi infortuni. Semplicemente, non è stato all’altezza di farlo. Perché il problema, ovviamente, non è questo pareggio col Verona o quello col Cagliari, anche se a cose fatte sono quelli i punti che mancano per la qualificazione in Champions League: il problema è che il Napoli è sembrato sempre in balia del contesto, sempre privo della possibilità di controllare le partite e quindi – alla lunga – l’esito della sua stagione. Perché magari i 77 punti in campionato potrebbero anche essere coerenti con il valore della squadra, ma se fai 77 punti ed esci col Granada (!) in Europa League (ai sedicesimi) e perdi senza giocare la Supercoppa Italiana e la semifinale di Coppa Italia, vuol dire che un po’ di errori sono stati commessi.
Sono stati commessi da chi ha costruito una rosa ibrida e poi ha chiamato Gattuso a guidare una squadra che, evidentemente, non rispecchiava la sua idea di calcio. Sono stati commessi da un allenatore che ha chiesto ai suoi uomini di giocare bassi e racchiusi in 30 metri in fase difensiva per poi provare a innescare Osimhen, senza prevedere un piano alternativo. E sono stati commessi da quello stesso allenatore che, proprio in virtù della composizione ibrida della sua rosa, avrebbe dovuto far praticare un calcio mutevole alla sua squadra – riecco la necessità del piano alternativo.
Poi ci sono i giocatori, certo. Ma i giocatori vengono comprati dalla società e messi in campo dall’allenatore. Sono gli ultimi anelli della catena. E, tra l’altro, quelli del Napoli formano il terzo organico più costoso della Serie A secondo Transfermarkt. Il fatto che questo stesso organico sia arrivato al quinto posto in Serie A, dopo aver buttato via tutte le altre competizioni stagionali, deve indurre a parecchie riflessioni.