Ripartiamo da zero. Scriviamo una nuova storia. C’è bisogno di una nuova storia. Di nuove fondamenta. De Laurentiis ha deciso per Canà, per il ritorno di Giacomini, per Spalletti? Bene. Chiunque sia lo sostenga #finoallafine, perché si gioca fino all’ultima giornata. I campionati non finiscono a Firenze. De Laurentiis creda in questa storia fino in fondo. Con convinzione. Ci risparmi il suo essere gigione quando inizia un nuovo corso. L’azzeramento è l’unico viatico per uscire da questa melmosa narrazione buonistica appiccicata al Napoli. Sostenga il nuovo. Come ha fatto con Gattuso. L’importante è che il nuovo allenatore sia consapevole delle passate stagioni e cresca la nuova squadra con la mentalità diversa dalla precedente. C’è bisogno di nuovi calciatori. Di nomi nuovi da imparare. Di nuovi cori da cantare. Di calciatori che si esaltino. Basta la preparazione e la conclusione del tiro a giro. Basta la narrazione della maglia sudata, raccontata da chi ne sa di meno di chi vede le cose senza essere per forza addetto ai lavori. Basta con la narrazione ormai decennale di Insigne (frattese quando sbaglia, napoletano quando segna), e dello stalking mediatico legato ad ogni suo rinnovo di contratto. Basta anche con Mertens e la sua aria da perenne studente in Erasmus. Basta anche con Koulibaly fragile nell’animo e capitano senza coraggio.
Basta con la narrazione dei bravi ragazzi. Non è un basta, il mio, per il pari in casa con il Verona. Ma è un basta legato al perenne sconfittismo-vittimismo postumo. Del resto non esiste squadra al mondo che si affidi in maniera perpetua ad un nucleo perdente per tanti anni. La Juve ha giocato per anni con la BBC, ma almeno vincevano scudetti a mani basse. Basta solo una stagione negativa, si fa per dire (due trofei) e la qualificazione Champions, per giubilare Buffon Chiellini, e cacciare l’allenatore. La Juve non fa bene, ma benissimo. Per ogni organismo è sempre necessario il rinnovo delle cellule. Ed il Napoli non fa eccezione.
Anche se un po’ per tradizione da cinepanettone, ed un po’ per dare ascolto alla pancia del tifo, Napoli ha in cartellone le stesse facce da cerca otto anni. Facce di cui conosciamo pregi e difetti. E se i pregi li prendiamo come comportamento fisiologico, i difetti ci deludono sempre, e di molto. L’opportunità che si presenta per Spalletti e De Laurentiis è notevole. Sradicare dalla rosa ogni cosa che sia riconducibile al passato ed ad un’appartenenza perdente. Una vita fatta di alibi e recriminazioni. Senza mai essere capaci di analizzare davvero se stessi, cercando di porre rimedio ai difetti atavici della città, che necessariamente si riverberano anche sulla squadra. Spalletti, sostenuto da De Laurentiis deve diventare il Pol Pot azzurro, senza spargimento di sangue. Ma con spargimento di lacrime. Partendo anche dalle cose che in apparenza sembrano innocue: come il caffè di Starace. Si cambi anche il modo di rilassarsi e di prendere una pausa. Si beva caffè americano. Il lavoro deve essere profondo. Ci dovrebbe essere una dissociazione completa da tutti ciò che il Napoli ha rappresentato in questo secolo di vita. Forse si è cambiato troppo presto nome allo stadio. Dando come al solito impulso al sentimento popolare. Senza guardare nemmeno al domani. Come se vivere quotidianamente, dentro se stessi, il ricordo di Diego non fosse sufficiente.
Il lavoro ventennale di De Laurentiis per portare il Napoli in una nuova dimensione di calcio e di pubblico ha dato i suoi frutti, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Negli anni “la piazza” è scomparsa. Resistono i centocinquanta scappati di casa di domenica sera allo stadio e massimo altri duemila, contando le frange ultras, che tra non oltre cinque anni saranno solo memoria, Oppure vivranno nelle riserve dell’appartenenza. Di fatto la “piazza” di Napoli non esiste più. Esiste una tifoseria anestetizzata. Che, a parte il battage social, conta zero. Il popolo sarebbe silente dinanzi ad una rivoluzione cultuale. Del resto l’animale sociale è cambiato e con esso anche il modo di vivere il calcio e lo stadio. Si sono affievolite, e di molto, anche le rivalità. Siamo ormai al pallone post-ideologico. Sdoganato anche dall’azzeramento delle ambizioni delle società sportive, tutte ormai sulla stessa barca della disperazione. Per questo sarebbe opportuno mettere in atto una sorta di progetto Red-Bull, mantenendo al limite i colori sociali, per non essere troppo drastici. Solo in questo modo, con una nuova alba ed una nuova crescita i clienti del Napoli non vivranno più gli oscurantisimi gattusiani e domeniche come quelle appena trascorse. La rivoluzione del Napoli inizierà cosi: “Tommaso senti una hosa, ‘un te la prendere su ppersonale, mi piace il caffè amerihano”.