Il professor Carrugo a Libero: «Può rimanere un episodio isolato, ma c’è anche il rischio che succeda di nuovo. Alcune anomalie genetiche emergono dall’elettrocardiogramma»
Christian Eriksen è fuori pericolo, ma resta in ospedale per gli accertamenti del caso, visto che ancora non si è capita la causa del malore che ha fatto fermare il suo cuore per qualche istante, sabato, durante Danimarca-Finlandia. Causa che potrebbe anche non essere mai scoperta, rivela, a Libero, il responsabile regionale della Società italiana di Cardiologia e direttore dell’unità di Cardiologia del Politecnico di Milano, Stefano Carugo.
«Esiste un 3-4 per cento di casi di arresto cardiaco la cui causa rimane sconosciuta: può rimanere un episodio isolato nell’arco di una vita ma c’è anche il rischio che succeda di nuovo».
Carugo continua:
«Ci vorrà una settimana o dieci giorni per completare gli esami di controllo: si parte con gli esami base, l’elettrocardiogramma, l’ecocardiogramma, il test da sforzo. Poi si passa agli esami di secondo livello, ovvero la Tac coronarica, la risonanza magnetica, gli studi elettrofisiologici. Di solito non si fanno perché si tratta di test invasivi e prima di entrare con dei cateteri nel cuore ci si pensa due volte».
Si possono anche ipotizzare cause genetiche:
«Sì, il Qt lungo (si tratta dell’allungamento dell’intervallo tra due onde (Q e T) dell’elettrocardiogramma, cioè tra il momento in cui comincia la contrazione dei ventricoli e quello in cui si conclude la ricarica elettrica che avviene dopo ogni battito, ndr), la sindrome di Brugada (malattia caratterizzata da un malfunzionamento di una parte della membrana che riveste le cellule del cuore, ndr)… ma si possono vedere con un banale elettrocardiogramma».
Ad oggi è prematuro dire se Eriksen tornerà in campo.
«Esistono anomalie cardiache che sono risolvibili e con cui si può convivere anche praticando sport di contatto come il calcio».