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Jorginho Pallone d’oro. Why not?

Come Kanté, ha vinto la Champions. Sta disputando un grande Europeo. Se l’Italia di Mancini dovesse arrivare in fondo, sarebbe un candidato naturale

Jorginho Pallone d’oro. Why not?
Roma 16/06/2021 - Euro 2020 / Italia-Svizzera / foto Image Sport nella foto: Jorginho esultanza fine gara

Un metro e ottanta centimetri per sessantotto chilogrammi. A prima vista mingherlino e piuttosto gracile. Porta con sé un’aria quasi cagionevole. Lo incontrassimo per strada, non saremmo nemmeno così convinti di avere a che fare con uno sportivo.

È nato a Imbituba, in Brasile. Sua madre faceva la calciatrice, al padre si devono le sue origini italiane. In tutta franchezza, Jorge Luiz Frello Filho – per tutti Jorginho – dal calcio brasiliano ha ereditato solo un’innata classe. Non è un calciatore brasilianamente funambolico, né pare abbinare alla sua struttura fisica leggera una particolare velocità negli scatti, con e senza palla. Dal Brasile ha forse ereditato oltre alla classe quella personalidade alegra e festiva che ha portato tutti i gruppi in cui ha lavorato ad adorarlo pure fuori dal campo.

Ieri qui sul Napolista è stato pubblicato un ritratto che ergeva il regista del Chelsea e della Nazionale italiana a baluardo dell’essere in un mondo di apparenze, facendo riferimento a quella gergale (ma stupida) espressione calcistica che lo accompagna da sempre: è forte ma non appariscente, è bravo ma fa giocate semplici.

In realtà Jorginho alla classe brasiliana ha abbinato una formazione che è molto italiana. E non potrebbe essere diversamente, visto che è calcisticamente cresciuto da noi sin dai settori giovanili (come ha raccontato). Jorgi diventa Giorgio nella capacità di comprendere i momenti della partita, nell’acume tattico e posizionale, e poi nell’intuizione (che grazie alla classe diventa realtà) di alzare e di abbassare i ritmi del gioco secondo le necessità della squadra.

Non sappiamo se tutto questo possa essere definito semplice, ma sappiamo – perché ce l’ha detto Bertolt Brecht – che è la semplicità ch’è difficile a farsi, e pure che mentre rendere complicate le cose semplici è un luogo comune, rendere incredibilmente semplici le cose complicate è creatività, come ci ha insegnato quel jazzista e contrabbassista pazzo e arrabbiato (come si autodefiniva) che fu Charles Mingus. E, attenzione, non sono citazioni casuali: in Jorginho c’è la dimensione comunitaria, associativa e ordinata (se contrapposta al caos) delle poesie di Brecht e poi contemporaneamente c’è la musica, il ritmo, il contrabbasso di Mingus.

Semplicità, essenzialità, poca appariscenza. Robe che hanno peraltro poco a che vedere pure con l’altra critica che gli è stata mossa in questi anni, e cioè la poca versatilità. Gli è stato detto – a lui ch’è essenziale, semplice, poco appariscente – di essere adatto ad un unico spartito, ch’è quello di un calcio che qui abbiamo bollato come estetico. Va da sé (sarebbe uno splendido controsenso il contrario) che estetica fine a sé stessa e non-appariscenza non vanno necessariamente a braccetto. E infatti Jorginho ha dimostrato che può indifferentemente giocare in un centrocampo a due (come gioca nel Chelsea di Tuchel campione d’Europa) e in un centrocampo a tre (come ha giocato a Napoli e come gioca nella Nazionale italiana) perché è lui stesso a decidere la base dello spartito, è lui stesso a dettare il tempo su cui possono non solo esprimersi ma perfino sollazzarsi gli altri strumenti. Tanto che è il calciatore (forse l’unico calciatore) cui lo stesso Mancini non è mai riuscito a rinunciare da quando s’è seduto sulla panchina della Nazionale italiana.

Sulla scorta di queste considerazioni – e non solo sulla scorta dei trofei, delle statistiche impressionanti del calciatore e dell’Europeo importante che sta giocando – lanciamo dalle pagine di questa testata un’idea, esercitando quello straordinario strumento umano che è il dubbio: visto che si parla di Pallone d’oro a Kanté (e se ne parla da quando il Chelsea ha vinto la Champions League), e noi siamo perfettamente d’accordo visto che stiamo parlando di un grandissimo calciatore, perché non annoverare tra i candidati alla vittoria del Pallone d’oro anche Jorginho il silenzioso direttore di tutte le orchestre in cui si è esibito?

Dalle statistiche pubblicate da Kickest sulla Premier 20-21 risulta che è da Jorginho più che da Kanté, pur comprendendo la diversità (e quindi pure la perfetta compatibilità) tra i due, che discende la manovra dei campioni d’Europa, visto il numero enorme di palloni toccati e di passaggi effettuati ed una percentuale più alta di passaggi riusciti e di passaggi chiave (cioè di quei passaggi che creano le cosiddette big chances). Jorginho è tra l’altro – certo, da rigorista, ma lo è – il miglior marcatore del Chelsea in campionato. Nessuno tra i Blues ha eguagliato le sue sette reti in Premier. 

Ed esattamente come Kanté ha vinto la Champions League da assoluto protagonista.

Come accade per le nomination all’Oscar per il miglior film straniero, Jorginho è senza dubbio il candidato italiano al Pallone d’oro. Il duopolio Messi-Ronaldo è ormai in declino. Nell’anno dei Mondiali il premio fu vinto da un altro regista: il sublime  Modric che trascinò la Croazia a un passo dalla vittoria mondiale. Perché non potrebbe accadere lo stesso nell’anno degli Europei? 

Ovviamente molto dipenderà da Euro2020. Facendo i debiti scongiuri, bisognerà vedere fin dove si spingerà l’Italia di Mancini. Lui in bacheca ha già il trofeo europeo più importante per club; se dovesse collezionare anche quello per nazioni, la sua diventerebbe una candidatura naturale. Jorginho Pallone d’oro, why not?

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