In Inghilterra è il dibattito del giorno. L’appello di Southgate ai tifosi. Il quotidiano: «Il calcio non è il rugby, è un atteggiamento parrocchiale ma non sarebbe la fine del mondo»
Nella civile Inghilterra il dibattito è: fischiare o non fischiare l’inno italiano? Questo è il problema, chioserebbe quale tale che pure è nato nel Regno Unito. Il tema è talmente caldo che è venuto fuori anche nella conferenza di presentazione di Southgate che l’ha buttata sulla carica da non dare agli avversari.
È importante che i nostri tifosi rispettino gli avversari. Sappiamo che quando giochiamo all’estero e i tifosi fischiano il nostro inno, questo ci carica ancora di più. Quindi non aiutiamo l’Italia, possiamo mettere pressione sugli avversari e fischiare durante il gioco, ma dobbiamo essere rispettosi.
Il Telegraph mette le mani avanti con un articolo affidato a Thom Gibbs. Il canovaccio è quello classico. La premessa:
“io non fischierei mai l’inno italiano, il migliori tra tutti i cerimoniali di Stato. Allo stesso tempo, però, se dovesse accadere non proverei un profondo senso di vergogna. I fischi sarebbero inutili ma ci sono cose più importanti di cui preoccuparsi”.
Il Telegraph scrive che i contrari ai fischi appartengono a due categorie: quelli che considerano i fischi un atto xenofobo e quelli che invece li considerano inaccettabili dal punto di vista sportivo, perché considerano lo sport un momento di svago e allegria.
Il Telegraph scrive di lasciar perdere il confronto tra il calcio e il rugby.
“C’è un divario incolmabile tra i codici morali dei due sport. A Twickenham c’è la tradizione di rispettare il kicker degli avversari sui calci piazzati”.
Molti tifosi inglesi faranno amicizia, bevono e faranno fotografie con gli italiani. Ma durante la partita, diventeranno nemici. (…) È possibile gridare seriamente parole maleducate agli altri, e poi chiacchierare civilmente con loro all’esterno dello stadio. Il calcio moderno deve riuscire a camminare su un equilibrio sottile: riuscire a mantenere la sua intensa capacità d’attrazione senza igienizzare completamente l’esperienza da stadio.
Il razzismo dagli spalti, almeno in questo paese, è riconosciuto come aberrante. Negli ultimi dieci anni le poche volte che ho sentito accenni razzisti da qualche vicino, è sempre stato aggressivamente sfidato da altri sostenitori, oppure segnalato. Questo non accadeva trent’anni fa.