Arrivo in redazione e il direttore Polito mi accoglie con uno sguardo birichino. La riunione del Riformista procede, poi lui si ferma, mi guarda e dice: “Mi dispiace per te, ma oggi va affrontato il tema Messi-Maradona”. E affrontiamolo, allora. E mi viene in mente Apocalypse Now. Il capolavoro di Francis Ford Coppola. Ecco, la differenza è là. Tra la cronaca e la storia. Tra il migliore dell’esercito americano e la leggenda. Messi è Martin Sheen; ma Diego è Marlon Brando. Ed è lui, Kurtz, a decidere di lasciarsi ammazzare da Willard. Non prima di avergli spiegato che cosa gli è accaduto, perché negli Stati Uniti gli danno del traditore, perché ha scelto di stare dalla parte dei vietcong.
Messi è un grande del nostro tempo, probabilmente il migliore. Ma i confini glieli ha involontariamente tracciati Arsene Wenger, l’allenatore dell’Arsenal: “Leo sembra la playstation”. Proprio così. Perfetto, perfino troppo, ma, al confronto, è come se fosse senz’anima. Ai gol di Messi, alla sua genialità calcistica, manca l’alone della storia. Quello che ha seguito Diego da quando, bambino, palleggiava sui campi polverosi lasciando gli spettatori a bocca aperta. Diego non ha mai giocato con Iniesta, Xavi, Henry, Pujol. No, Diego se n’è andato in una città maledetta (che dopo di lui non ha conquistato più nulla) e ha vinto con Bruscolotti, Caffarelli e Sola. Certo, c’erano anche Careca e Giordano, ma poco più. Così come il Mondiale l’ha vinto con due giocatori, Valdano e Burruchaga. E lui la Playstation l’ha anticipata di dieci anni, prendendo palla a centrocampo e portandosela in porta. In un quarto di finale. Ma della Coppa del Mondo. Cinque minuti dopo aver segnato il gol del Novecento. Quello che la Playstation non gli avrebbe concesso. Ma la storia sì.
Massimiliano Gallo
Messi è la Playstation
Maradona è la storia
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