California e Ohio sono due mondi lontanissimi, dal punto di vista geografico e climatico, ma anche storico e socio-culturale: due universi inconciliabili, che non potevano che produrre, per quanto riguarda lo specifico delle Nba Finals 2016, match diversissimi tra loro, a distanza di appena tre giorni, quasi come se Cleveland Cavaliers e Golden State Warriors non fossero reduci da due massacri cestistici andati in scena sul parquet della Oracle Arena di Oakland, Bay Area, California. Ebbene, col ritorno tra le gelide e ventose strade dell’Ohio, in quella Quicken Loans Arena che a luglio ospiterà la convention nazionale del Partito Repubblicano, lo scenario delle finali per il titolo Nba cambia completamente, si rovescia e il massacro cestistico arriva a parti invertite, nonostante la temuta assenza di Kevin Love tra le fila dei padroni di casa. E il definitivo 120-90 col quale i Cavs spazzano via i Warriors, travolgendoli con due impressionanti parziali all’inizio del primo e del terzo quarto, non rende nemmeno minimamente giustizia alla grinta e determinazione con le quali LeBron James e i suoi compagni riescono ad avere la meglio sui loro avversari.
Ma il divario così ampio, guardando in casa dei californiani, non rende giustizia nemmeno alla mollezza e svagatezza con la quale i campioni uscenti entrano in campo in gara-3, quasi come se avessero già deciso di voler comunque tornare a casa, in modo da celebrare il nuovo titolo sul parquet amico. Prima di pensare a tutto ciò, però, coach Steve Kerr dovrà trovare un modo per riportare nella serie – anzi per far entrare nella serie, dato che finora non si sono visti quasi mai – le sue due stelle Stephen Curry (19 punti alla fine, ma quasi tutti negli inutili minuti conclusivi) e Klay Thompson (appena 10 punti), stanotte ancora più deludenti che nelle prime due gare e, anzi, persino dannosi nel tempo trascorso in campo, soprattutto l’mvp. Grazie a un notevole secondo quarto, trascinati dalla consueta prestazione importante delle seconde linee, i Golden State Warriors riescono infatti a rientrare dal meno 20 al meno 8, finché proprio il ritorno in campo di un Curry gravato troppo presto di tre falli e dunque limitatissimo in difesa non li ricaccia in pochi minuti sotto quasi di 30 punti. E stanotte, accanto agli “spash brothers” delude anche il terzo dei “big three”, quel Draymond Green passato dai 28 punti di gara-2 ai soli 6 di gara-3.
Da salvare, tra le fila dei Warriors, sono unicamente Harrison Barnes (18 punti) e il solito Andre Iguodala (11). Ma, in vista del quarto match, Kerr dovrà assolutamente capire come rendere incisivi, o almeno non dannosi, Curry e Thompson. Altrimenti, la serie potrebbe allungarsi più del previsto e riservare persino qualche sorpresa. Alla mollezza di Golden State, però, fa da contraltare una prestazione molto più energica e convinta dei Cleveland Cavaliers che evidentemente si trasformano tra le mura amiche, dove sono ancora imbattuti nei play-off 2016. La chiave della loro vittoria sta tutta nei numeri dei quattro quinti del quintetto titolare: LeBron James 32 punti e 11 rimbalzi, un rinato Kyrie Irving 30 punti (16 in un fantastico primo quarto) e 8 assist, il tiratore folle J.R. Smith 20 punti (con 5 triple) e 3 recuperi, Tristan Thompson 14 punti e 13 rimbalzi (con ben 8 offensivi, determinanti).
Accanto a loro quattro, coach Tyronn Lue schiera il veterano Richard Jefferson al posto dell’assente Love, avendo come risposta 9 buoni punti, ma soprattutto più difesa perimetrale e la possibilità di allargare il campo e creare maggiore spazio per le devastanti penetrazioni di LeBron. Rispetto alle prime due gare, inoltre, Lue modifica e amplia le rotazioni, dando più minuti utili sia a Channing Frye che a Timofev Mozgov, in campo già nel primo quarto; cosa a mio avviso determinante per tenere alta l’intensità di gioco lungo l’arco del match. Adesso, la serie è sul 2-1 e la gara-4 di venerdì notte diventa assolutamente decisiva per tutte e due le squadre. Una cosa è certa: Steve Kerr e Tyronn Lue nei prossimi due giorni dormiranno pochissimo.