Intervista a Cristina Donadio interprete di Scianel nella serie tv Gomorra: l’attrice parla del ruolo della donna nella fiction e non solo
È uno dei personaggi più belli e complessi della seconda stagione di Gomorra. Giocatrice di poker, donna senza scrupoli, Annalisa Magliocca, meglio conosciuta come Scianel, di giorno veste tute in ciniglia e di notte indossa tacchi a stiletto e abiti aderenti e scollati. Ha negli occhi la sete di potere e l’assenza totale di scrupoli, e basterebbe la sua sola presenza scenica a identificarla in pieno, anche senza necessità di dialoghi. Un personaggio studiato nei minimi particolari, a partire dal biondo dei capelli che fa molto “donna di camorra”. Di certo, un’interpretazione splendida da parte dell’attrice che ne porta in tv la forza e la femminilità, Cristina Donadio. Un passato da attrice teatrale e tanto cinema d’autore, è con lei che abbiamo chiacchierato di Scianel e delle particolarità della serie televisiva più discussa del momento.
Nella prima serie c’era Imma Savastano, oggi a tenere banco è Annalisa Magliocca, Scianel. Donne forti entrambe, ma la sensazione è che Scianel abbia tante sfaccettature che Imma non aveva e che sia un personaggio molto più complesso. È davvero così o è la sua interpretazione a renderlo tale?
«Imma era una leonessa in una famiglia di camorristi. Doveva tenere a bada il suo leoncino (Genny) per farlo diventare leone nel migliore dei modi. Potremmo paragonarla ad una regina shakespeariana: il suo unico scopo nella vita è di mettere in grado il principe di diventare re e quando ci riesce, anche a costo della vita, scompare, perché ha raggiunto il suo scopo. Scianel invece è una iena, e la iena ha un’attitudine al comando più forte della leonessa, ha come obiettivo esclusivo il potere, per raggiungere il quale non ha limiti né confini. Anche il figlio diventa un mezzo. Scianel non agisce perché il figlio diventi una iena come lui, lei guarda solo al suo potere, scende in campo da capo, non come madre di Lello. Imma è molto più morbida con il figlio: quando si rende conto che il figlio è troppo viziato, debole, che si lascia sopraffare, allora capisce che deve cambiare strategia, ma fino al quel momento è una mammona. Scianel no, è spietata».
Quanto è stato difficile costruire il personaggio?
«Quando mi hanno presentato Scianel ho pensato che l’unico modo per interpretarla era considerarla una Medea, Clitemnestra, andare a scavare a fondo nell’archetipo che ci portiamo dentro per non banalizzarla e farla diventare un cliché, che era una cosa che mi spaventava. Ho dovuto cambiare il colore dei miei capelli, che sono bruni, e già questo ha richiesto una trasformazione pazzesca: ho un viso dai lineamenti marcati, che sono stati resi ancora più duri da quel biondo cattivissimo e freddo, ma già così ho avuto una porta di accesso al personaggio. Ho immaginato una donna che è l’essenza del male. Ho scavato molto nel profondo per tirare fuori i suoi sguardi, i gesti, la camminata. È stato un lavoro molto interiore che però, facendo teatro da tanti anni, mi ha soddisfatta; anche solo pensare e immaginare il personaggio mi ha regalato sensazioni importanti. Ho avuto libertà totale, in questo, con i registi. Ho anche abbassato il mio tono di voce perché Scianel doveva fare paura, risultare sgradevole, avere un viso feroce. Insomma, ho immaginato il personaggio, poi l’ho shakerato, messo in un frullatore e l’ho bevuto, per fargli attraversare la mia anima e il mio corpo e far diventare mio ogni suo gesto e sguardo. Il processo doveva sedimentare, per poi poterne prendere le distanze. Quando mi vedo Scianel, oggi, vedo un’altra da me».
Ma Scianel non è solo sgradevole, è anche molto affascinante, molto femmina.
«È una donna molto affascinante come può essere affascinante il male ed è un personaggio molto amato dalle donne, è diventato un’icona delle ragazzine. È una cosa che mi fa ridere ma che mi spaventa, anche. Quando mi fermano per strada per fare le foto dico loro che si stanno fotografando con Cristina, non con Scianel, e loro restano stupite. Sono contenta che piaccia la mia interpretazione da attrice ma io sono altro, il mio lavoro è entrare nella vita degli altri e rappresentarla, e glielo spiego. La vita alla Scianel è stata impegnativa, ma credo di aver costruito un personaggio che sarà ricordato. Faremo una terza serie, e spero che Scianel torni. È un personaggio che ha una sua ragione di esistere e non è un personaggio inventato: per pensarlo, Saviano si è riferito ad una persona reale. Un personaggio anche molto innovativo. Le donne della camorra scendono in campo quando gli uomini finiscono in carcere per mandare avanti la famiglia e il sistema; quando vi sono costrette, come Imma, che prende le redini della famiglia quando pensa che Pietro sia fuori di testa e fuori dai giochi e che tocchi a lei occuparsi del figlio. Ci sono poche donne che ancora fanno una scelta come Scianel, al di là della famiglia, anche se stanno aumentando. Ma quando una donna scende in campo come Scianel è determinata e feroce, e agli uomini fa più paura, come se uscisse fuori dall’archetipo che ognuno di noi si porta dentro: la donna per i camorristi è la mamma, la moglie la figlia, ma è difficile che possa essere un capo con cui trattare alla pari, questa cosa destabilizza anche loro. E la ferocia che gli uomini mettono nel punire questo tipo di donna è raddoppiata».
Nella decima puntata, andata in onda martedì scorso, è venuta fuori la figura di Scianel mamma, iperprotettiva, soffocante, accentratrice, alla quale in un certo senso il figlio si ribella…
«Scianel non lo fa per proteggere il figlio, si rende conto che Lello è di indole uno che facilmente si mette nei casini, non ha le carte giuste da giocare. Se non fosse il figlio di Scianel, Lello sarebbe già morto, nessuno lo prende in considerazione al di fuori del suo ruolo di figlio. La madre è anche un po’ irritata da Lello: lo protegge, certo, ma perché vuole lei il potere. È una madre pessima, nel senso che si preoccupa per il figlio, fa in modo che lui abbia una piazza di spaccio ma solo perché vuole essere lei la più potente. La reazione del figlio non è contro la strategia della mamma, non la contesterebbe mai su quel piano, è una reazione tutta spostata su Marinella. Lello reagisce così perché sa che se non ci fosse la mamma lui potrebbe perdonare la moglie per il tradimento e continuare a vivere con lei. La sua reazione è in difesa di Marinella che gli ha rinfacciato di essere stata soffocata da Scianel per sette anni, le parole della moglie gli sono rimaste dentro. Scianel lo capisce, infatti guarda il figlio con uno sguardo diverso, quasi con stupore, come se gli dicesse “ma pensa a quello che devi fare, che ti sei salvato per poco. Io devo cambiare tutta la mia strategia e tu stai ancora qui a fare cazzate”. È un rapporto madre-figlio molto sottile, particolare, bello da raccontare, fatto di ambiguità ed ambivalenze. Scianel come iena si trova a dover proteggere un cucciolo che non appartiene alla sua specie, non è iena anche lui. È delusa, come se non fosse riuscita a trasmettere quei valori, seppure rovesciati, che le appartengono. Anche il padre di Lello non deve essere stato in grado di fare granché. Non viene mai nominato».
Scianel dice a Marinella che una donna per essere davvero libera non dovrebbe sposarsi. Ne emerge come diceva lei una figura completamente diversa dalle solite donne di camorra, una donna che è camorrista a prescindere dalla sua famiglia.
«Sì, lei dice “se vuoi essere veramente libera non devi tenere nessun marito o non lo devi avere più”. molto meglio essere vedova. È molto nuovo il modo di pensare il proprio ruolo all’interno di un sistema. Più sei libera e sola più sei forte perché non hai distrazioni né legami. Come Ciro di Marzio, che uccide la moglie quando capisce che può ostacolarlo nel suo progetto. Le debolezze, le ferite lasciano ai nemici la possibilità di insinuarsi, diventano pericolose per chi vuole il potere ad ogni costo».
Sempre nella decima puntata però Scianel è fortemente e stupendamente femmina. Non è un caso che la firma da regista sia di Francesca Comencini. Penso alla scena del vibratore impugnato come microfono, ad esempio. Quanto conta la regia di una donna nel raccontare una donna?
«Quella del vibratore è una scena che poteva essere trash ma non lo è. Non vuole essere una scena di autoerotismo, ma un momento di intimità nella vita di questa donna che è un guerriero che non si ferma mai. Scianel si chiude dentro casa e per un attimo si lascia andare, ha anche bevuto. Non vuole essere null’altro che un suo momento di follia intima, non è che ogni sera faccia questo, non è sottinteso. Non c’è nulla di cui scandalizzarsi se Scianel tiene in casa un oggetto del genere, poi è chiaro che il vibratore di Scianel sia kitsch e non normale. Ma saranno fatti delle donne se vogliono giocare con un giochino o con un altro? Nelle quattro mura di casa le donne possono essere libere di fare ciò che vogliono se non danneggiano nessuno? Sai cosa penso? A qualcuno ha dato fastidio perché è una scena che mette a nudo un pensiero, va a toccare qualcosa che si cerca di tenere nascosto, ma che non cambia nulla nella mentalità di Scianel e neppure nel suo modo di comportarsi. Non è che dopo questa cantata in bagno la iena diventa più morbida, è una cosa da guerriera. Per tanti sarebbe stato normale vedere un capo che si chiude in casa e si abbandona a una scena di autoerotismo e invece le donne no, non lo possono fare. Che poi qui non parliamo neanche di autoerotismo, perché Scianel non lo usa il vibratore, ci gioca solo come microfono. Quando Francesca Comencini mi propose la scena le dissi “perché no?”. Io ce la vedo Scianel che ha un vibratore a casa, può non usarlo o usarlo per altro, lei è lucidamente pazza, può fare tutto. Quella scena è completa e Francesca l’ha montata in maniera incredibile, con la sua intelligenza. L’ha inserita nella fuga di Marinella e nell’uccisione della persona sbagliata al posto di Lello, le ha dato un ritmo cinematografico che toglie il fiato. È cinema puro. Scianel è unica, e viene fuori da ogni canone anche qui. Francesca sapeva di potersi fidare di me come io posso fidarmi di lei, in questa scena in particolare: poteva anche tagliarla, invece è una scena che anche Sky ha trovato bellissima, per nulla volgare. Siamo nel 2016, abbiamo fatto battaglie su battaglie e la donna non può neanche utilizzare un vibratore coi brillantini come microfono?».
Sono tante le polemiche scaturite da Gomorra. Secondo lei i personaggi rappresentati nella serie possono davvero spingere ad una sorta di emulazione?
«Ma no! È talmente evidente che sono personaggi che non vivono! Non è quella la vita, si auto-recludono, si autoeliminano, non si fidano l’uno dell’altro, non ridono mai, se non con risate di scherno o dovute all’ubriachezza. Si chiudono dentro a chiave, non dormono mai nel loro letto, sono animali e sanno di esserlo e, nonostante tutti i soldi che guadagnano, anche se si circondano di oggetti di arredamento pazzeschi, sono sempre soli. L’emulazione a questo livello non ci può essere, chi emula aveva già deciso di farlo o aveva un’anima già portata verso il male radicato. Gomorra non è stato il primo romanzo a diventare film, mi ricordo che prima ancora che Saviano scrivesse Gomorra, c’era Il Camorrista e tutti i ragazzini avevano la suoneria del telefono con quella musica o ripetevano le frasi cult del film, c’è sempre stata emulazione. Il cinema, la narrazione cinematografica è piena di questi personaggi: da sempre è più affascinante raccontare il male. Se bastasse raccontare il bene per far diventare tutti buoni avremmo svoltato, sarebbe troppo semplice».
Tanti dicono che poi l’immagine che viene fuori di Napoli è quella di una città che ha Gomorra e basta.
«Ma cosa devono pensare al nord o all’estero? Che esiste la camorra a Napoli? Perché, non lo sapevano già? Gomorra è nato perché esiste la camorra, non il contrario. E poi, così come nella serie non si vedono sorrisi e risate, non si vedono mai neppure il Vesuvio, il mare, si vede solo la periferia, tra l’altro un pezzo soltanto di quella periferia, che non è neppure tutta Scampia, dove ci sono persone straordinarie. È un sistema claustrofobico, chiuso, potremmo essere in qualsiasi altra periferia malata del sud o in Sudamerica, nelle banlieue francesi dove si sviluppa il male. Non è che quel luogo diventi la città. Mai come in questo momento Napoli è piena di turisti, c’è un ritorno all’accoglienza. Insomma, mi sembra che questa polemica non serva a nessuno. Si fa un gran parlare, quando basterebbe guardare. Il racconto di Gomorra non prevedeva il racconto dei buoni. Per questo non ha senso raccontare la polizia, perché lì la polizia non c’è, se c’è è ai margini, gli arresti li fanno sempre sulle strade altre. Poi magari c’è anche lì, ma Sollima non voleva raccontare quello».
La seconda serie di Gomorra è più veloce e più violenta, ma anche più ampia, affronta temi importanti anche solo accennati, come quello del “femminiello” di cui si innamora Salvatore Conte, o della sprovincializzazione della camorra che vorrebbe Genny Savastano. Che ne pensa?
«È vero, è una serie molto più ampia, scava molto di più nei personaggi, e ognuno di loro mostra il suo lato debole, chi prima chi poi. Ciro arriva a fare cose tremende ma anche lui non può più rischiare di avere ostacoli sul suo cammino, è un morto che cammina ma la morte non gli fa più paura, uccide ciò che ha di più caro, la moglie, per il potere. È diventato molto shakespeariano. Come è molto più definito il rapporto padre-figlio. Pietro capisce perla prima volta che il figlio è cambiato, che si deve porre con lui come un pari, perché Genny ha preso consapevolezza di sé. E poi c’è Patrizia, un personaggio meraviglioso, che comincia come un soldatino, anche nella camminata, per proteggere la famiglia, e poi entra nel gioco, tira fuori la parte di male che ha dentro. Non è vittima, Patrizia, è lei che comincia a suggerire strategie a Don Pietro, che è il grande burattinaio della seconda serie pur stando nell’ombra. L’intelligenza di Don Pietro è malefica e fa scannare tra loro i camorristi, eliminando quelli troppo forti con cui avere a che fare, come Salvatore Conte e il Principe, che è in grado di gestire la cocaina come nessun altro. È sempre Savastano senior che dirige, che insinua il dubbio. È una serie molto più pulp, nera, che racconta il male e lo fa in maniera cinematografica. È per questo, credo, che sta avendo tutto questo successo. Ieri sera sono stata a cena con amici in un ristorante e mi hanno detto che il martedì sera non ci va nessuno per vedere Gomorra e che addirittura pensano di chiudere così possono vedere anche loro la puntata. In fondo successe anche nella puntata de La Piovra in cui moriva il commissario Cattani: ci fu un boom di ascolti, anche se Cattani era il buono».
È una vita che fa teatro, oltre a tanto cinema d’autore, non ha un po’ paura che la si ricordi per Scianel?
«Il timore l’ho avuto, anche se con tanti anni di teatro alle spalle ho imparato a mettere una distanza di sicurezza. Il teatro per me è sempre stato una scelta, ho detto tanti no a cinema e tv per il teatro. Certo la popolarità che mi dà Scianel è grandissima, ma la mia vita continuerà. Per luglio sto preparando uno spettacolo e girerò un film commedia ad agosto. A settembre aprirò la stagione teatrale al Bellini con un testo di Enzo Moscato. Probabilmente Scianel mi aprirà altri canali, magari all’estero, visto che parlo correntemente inglese e spagnolo, ma nella mia vita non faccio entrare Scianel a gamba tesa, non sarebbe giusto, sarebbe mancare di rispetto a quello che ho dietro di me. Scianel è stato un regalo, è un personaggio talmente bello, complicato, sfaccettato, che mi ha fatto mettere in gioco e tirare fuori tutta la mia parte dark, quella dei vecchi personaggi interpretati. La mente di un attore è come un archivio fatto di centinaia di cassetti che ogni tanto apri per riappropriarti di personaggi che hai interpretato. Sono stata una camorrista già a teatro, nella Clitemnestra riscritta da Valeria Parrella, l’unico spettacolo che riprenderò e al servizio del quale metterò Scianel. È una cosa cui tengo molto, che mi permette di praticare la camorrista archetipica, Clitemnestra, appunto. Per adesso Scianel ha il suo cassettino, l’ho infilata lì e deve stare buona, anche se ogni tanto si ribella, perché non è una da tenere dentro il cassetto. Ma sta lì, con tutte le sue sigarette, che poi io fumo pochissimo, solo di sera. Ho chiuso nel cassetto lei e anche il vibratore» (ride, ndr).