“Malagò dev’essere tentato di rispondere agli inglesi che avevano insinuato sulla vittoria di Jacobs. Agli italiani l’ironia, a noi l’ignominia”
Il Telegraph non ci gira intorno e coglie al volo uno degli aspetti principali della notizia che ha scosso il mondo dell’atletica, principalmente dell’atletica britannica. Ujah, primo frazionista della 4×100 britannica medaglia d’argento olimpica alle spalle dell’Italia per un centesimo, è stato sospeso in via cautelativa perché nel suo test antidoping sono state trovate tracce di ostarina un anabolizzante e di S-23.
Il pezzo comincia proprio così:
agli italiani piace dire che quelli con piastrelle di vetro non dovrebbero lanciare pietre contro i loro vicini. È un messaggio che Giovanni Malagò, presidente del Comitato Olimpico del suo paese, deve essere tentato di gridare ora che Ujah è risultato positivo a due sostanze vietate. A Tokyo, aveva descritto i dubbi britannici su Marcell Jacobs, campione a sorpresa sui 100 metri, come”imbarazzanti e spiacevoli”. Una settimana dopo, scopre che il primo staffettista del quartetto britannico è al centro di un rovinoso caso di droga. Per i vincitori, l’ironia è deliziosa. Per i vinti, l’ignominia di Ujah non poteva essere più imbarazzante, o più seria.
Se la positività di Ujah fosse confermata, la Gran Bretagna sarebbe squalificata e perderebbe la medaglia d’argento.
Il Telegraph scrive che sono due le sostanze cui l’atleta è risultato positivo: l’S-23, una sostanza utilizzata dai culturisti, e l’ostarina che è un anabolizzante.
I controlli sono stati effettuati dall’Athletics Integrity Unit l’organismo indipendente creato nel 2017, che è stato un elemento centrale del programma di riforma di Sebastian Coe quando ha assunto la carica di presidente della federazione mondiale di atletica.
Il Telegraph chiude ricordando che le 65 medaglie e i 22 ori sono stati definiti il “miracolo di Tokyo”. E adesso
l’ombra su Ujah suggerisce, purtroppo, che solo i creduloni credono nei miracoli.