Alla fine, la gara-7 che tutti desideravano (soprattutto i vertici della Nba, gli sponsor e i network televisivi) è arrivata. C’è voluta un’altra partita mostruosa di LeBron James, che ha bissato i 41 punti segnati tre giorni fa (con 8 rimbalzi e 11 assist), entrando nel ristretto club dei campioni capaci di andare oltre il quarantello in due gare di finale consecutive (e stiamo parlando di miti come, per citarne soltanto due, Jerry West e Michael Jordan).
Ma, ancora una volta, i Golden State Warriors pagano le precarie condizioni fisiche di troppi uomini-chiave, non riuscendo a recuperare per il match il centro titolare Andrew Bogut, chiedendo all’mvp Stephen Curry più minuti di quanti probabilmente ne può dare da quando è rientrato dall’infortunio delle settimane scorse e, soprattutto, schierando per mancanza di alternative nelle fasi decisive un Andre Iguodala semi-immobilizzato da guai seri alla schiena (commovente, ma in quelle condizioni dannoso per sé e per la squadra). In simili condizioni, su un campo caldissimo come quello della Quicken Loans Arena, il punteggio finale di 115-101 per i Cleveland Cavaliers diventa persino logico, con LeBron e compagni molto più pronti e carichi degli avversari, più pieni di energia e sempre in vantaggio.
A 54 secondi dalla fine del primo quarto, i Cavs sono già sul 31-9; mentre a inizio terzo quarto volano sul 70-46. Accanto a LeBron, dicono “presente” anche un Kyrie Irving da 23 punti (ben 20 nella prima metà) e un Tristan Thompson continuo e dominante sotto le plance, con 16 punti e ben 15 rimbalzi. Dall’altra parte, invece, i Warriors non riescono a valorizzare al meglio la “death line-up” (il quintetto basso con Draymond Green come centro), per la totale assenza dal campo di un Harrison Barnes da 0/8 al tiro. Trovano qualche buona risposta in termini di energia e coinvolgimento dal solo Leandro Barbosa dalla panchina (14 punti), mentre i due “splash brothers” mettono sì a referto 30 (Curry) e 25 punti (Klay Thompson), ma continuando a tirare troppo e male e contribuendo pesantemente al deludente 40,2% dal campo della loro squadra.
Nonostante queste differenze nette in termini di energia e di voglia di vincere, però, a 8 minuti dalla sirena finale tra Cavaliers e Warriors ci sono ancora soltanto 7 punti di differenza (86-79). Ed è qui che si verificano un paio di episodi che rischiano di orientare in qualche modo la serie, con gli arbitri che fischiano due falli onestamente inesistenti a Stephen Curry costringendolo a uscire dal campo. A quel punto, l’mvp perde la testa, protesta troppo e viene anche espulso, rientrando negli spogliatoi mentre mancano ancora più di 4 minuti alla fine. Curry non era mai stato espulso in carriera e non usciva per raggiunto limite di falli addirittura dal 13 dicembre 2013, a dimostrazione di quanto “strana” e forse inappropriata sia stata la decisione arbitrale. Mentre LeBron continua a dominare fino all’uscita per la standing ovation, sulla panchina dei Warriors Steve Kerr inizia già a preparare l’ambiente per la decisiva gara-7 casalinga, come confermano anche le sue dure dichiarazioni del post-partita: «Steph fa bene a essere arrabbiato, perché almeno tre dei suoi sei falli arrivano per chiamate assolutamente ridicole. Lui è l’mvp, ma gli chiamano falli del genere nelle Finals…».
Ma è proprio Stephen Curry a introdurre il match decisivo con parole da leader autentico: «Se ci avessero detto a inizio stagione che avremmo avuto la chance di giocarci il titolo in una sola partita davanti ai nostri tifosi saremmo stati contenti. I nostri playoff sono stati tutt’altro che perfetti e non dobbiamo lasciare che le ultime due partite ci facciano dubitare di quelli che siamo. Dobbiamo tutti avere fiducia, nella squadra e in noi stessi. E sono convinto che in gara-7 torneremo a vincere». Nella notte tra domenica e lunedì, naturalmente, nessuno si sogni di andarsene a dormire…