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Caro Napolista, non riesco a tifare Italia perché non mi sento parte di questo Paese

Caro Napolista, non riesco a tifare Italia perché non mi sento parte di questo Paese

Caro Napolista, sono uno di quelli che oggi non tifa più per l’Italia.  Sono appassionato di calcio e tifoso del Napoli sin da quando ero piccolo e quindi mi sono chiesto il perchè di questa svolta. Ho ripensato al passato, al mio approccio al pallone ed al tifo per cercare di capire. Sono nato nel 1960 e sin da piccolo mio padre, tifosissimo del Napoli, mi ha portato allo stadio, sia per vedere il Napoli che l’Italia. Ricordo l’esordio di Zoff (all’epoca nostro amato portiere) in nazionale contro la Bulgaria, ricordo una sua parata su un tiraccio da lontanissimo del possente centravanti Asparukhov, ricordo il goal di Riva contro la Germania Est ed ho questi ricordi perchè in quegli anni (fine anni ’60) il San Paolo veniva scelto spesso da Valcareggi perchè rispetto ad altri stadi mostrava  per l’Italia un tifo più caloroso.

Eppure, già allora, il Napoli aveva un rapporto difficile con la nazionale: Juliano ci giocava poco, Bianchi e Pogliana mai e Zoff divenne titolare inamovibile solo dopo il passaggio alla Juventus. Il rapporto con le squadre del Nord era anch’esso difficile; versai le prime lacrime per il pallone quando perdemmo con l’Inter a San Siro dopo aver chiuso in vantaggio il primo tempo e dopo che Mazzola andò a far visita al famigerato arbitro Gonella nell’intervallo. E, sempre a San Siro, Pierino Prati ci segnò con la mano nella nebbia milanese.

Da un punto di vista calcistico mi sembra che non ci siano grandi differenze dopo quasi 50 anni: arbitraggi favorevoli alle squadre del Nord e pochi giocatori del Napoli in nazionale. Sono andato allora a cercare  le ragioni del mio cambiamento fuori dall’ambito sportivo. Mio nonno (materno)  era nato agli inizi del ‘900 e mio padre è nato durante il fascismo, nel ’29. Entrambi erano stati allevati nel culto della patria, della nazione, che ovviamente era l’Italia. Una delle prime cose che mio nonno mi insegnò fu la canzone del Piave che ancora potrei recitare a memoria. A quelle generazioni non fu consentita una riflessione critica sull’istruzione e sull’educazione che gli venivano impartite: si poteva e si doveva credere in Dio, nella Patria e nei suoi eroi.

Anche sui libri dove ho studiato i protagonisti del risorgimento erano rappresentati come degli esempi e poco ci veniva insegnato della storia napoletana. I Borbone venivano rappresentati come delle macchiette (“facimme ammuina”) e nulla si diceva di coloro che si erano opposti ai piemontesi. Leggevamo sui giornali che i meridionali immigrati al Nord erano trattati come uomini di serie b. Poi ci fu il fenomeno della Lega che deprecava lo spreco di risorse prodotte al Nord e sperperate al Sud. Le inchieste di Mani Pulite, indagando su alcune aziende impiantate in Campania grazie a fondi pubblici, dimostrarono come il ladrocinio degli stessi avvenisse con la compartecipazione di imprenditori locali e settentrionali; la tecnica della sovrafatturazione permetteva al committente meridionale di avere dei contributi in eccesso che poi venivano divisi con i fornitori settentrionali che erano  quindi pienamente partecipi della truffa.

Quindi cominciai a chiedermi dove “poggiassero” la loro asserita supremazia morale. Altro momento determinante fu poi l’anniversario dell’Unità d’Italia quando molti di noi abbiamo cominciato a chiederci se avessimo effettivamente tratto qualche beneficio da questa unità. Nel frattempo avevo voluto approfondire le mie conoscenze storiche su Napoli e sul meridione e cominciai a chiedermi perchè una città che nel Medioevo era stata la terza in Europa doveva essere trattata come fosse la vergogna del paese. Passeggiavo per il nostro centro storico e vedevo pochi turisti; mentre ne vedevo di più a Milano dove secondo me una giornata basta e avanza per visitare Duomo, Castello, Ultima cena e Pinacoteca e poi non c’è altro da vedere; non parliamo di Torino che secondo me è un posto di una tristezza unica.

Da giovane laureato andai a fare un colloquio alla Fiat  insieme ad un mio amico ed all’uscita il comune commento fu “Speriamo che non ci chiamano” Allora il non tifare Italia è questo: è sentire il senso di appartenenza per Napoli, ma non per l’Italia. Se la nazione napoletana dovesse mai diventare uno stato saremo liberi di decidere se affidarci ai Borbone o a Gennaro Serra, ma lo faremo (nei miei sogni) da cittadini che amano la propria nazione e non si sentono vittime di conquistatori estranei alla nostra gente.

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