La rubrica della lettere al Corsera: «un movimento culturalmente debolissimo ma mediaticamente fortissimo. Torino non sa più chi è, eppure ha fatto due volte l’Italia»
Oggi nella consueta rubrica delle lettere Aldo Cazzullo prende di petto il tema della “torinesità”, dell’orgoglio sabaudo e lo fa in un modo che certamente farà molto discutere (speriamo in modo civile ed educato). Pubblica più lettere e un lettore gli chiede come mai lui abbia criticato così aspramente Torino (“paragonando le serrande abbassate della domenica all’ex Ddr”) e invece sorvoli su Roma.
Cazzullo scrive che
Roma è amministrata in modo osceno, (…) ma una città non è solo la sua amministrazione. (…) Roma ha una forte identità, una forte personalità. È piena di sé. È convinta che Totti fosse più forte di Messi. Ha imposto il proprio accento e il proprio slang all’industria culturale italiana.
E qui arriva a Torino e ai torinesi di cui dice l’esatto opposto.
Torino non sa più chi è. Ha lasciato che i grandi torinesi degli ultimi due secoli venissero denigrati e insultati da un movimento culturalmente debolissimo ma mediaticamente fortissimo, i neoborbonici. La città che ha fatto l’Italia due volte, a San Martino e a Mirafiori, costruendo la nostra unità nazionale e la nostra rivoluzione industriale a prezzo di sangue e fatica, non ha saputo difendere il suo patrimonio, la sua eredità. E non sa quale sia oggi il proprio ruolo e il proprio destino. Certo, ci sono molti segnali di tenuta: il Politecnico, il Salone del Libro, la Juve (almeno fino a ieri), la Stampa, la Lavazza che porta in città i Masters del tennis, eccetera. Ma la crisi in cui versano Torino e il Piemonte non è solo economica. È culturale e morale. Se non capiremo questo, non troveremo la via d’uscita.