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Repice: «Le nuove tecnologie esaltano la radio. Ero curvaiolo, per la Roma ho rischiato il lavoro»

Intervista a Il Giornale: «Scesi in campo a festeggiare dopo Juve-Roma 2-2, Tuttosport mi immortalò. Il più grande di tutti è Morales, raccontò il gol di Maradona senza parole»

Repice: «Le nuove tecnologie esaltano la radio. Ero curvaiolo, per la Roma ho rischiato il lavoro»

Il Giornale intervista Francesco Repice, re dei radiocronisti. E’ stata sua la voce che ha commentato l’Italia ad Euro 2020. Un’intervista lunghissima, con tanti ricordi ed emozioni e complimenti per la squadra di «Tutto il calcio minuto per minuto», soprattutto per le donne, Manuela Collazzo («una delle più grandi narratrici del nostro tempo») e Nicoletta Grifoni («è stata la nostra Maradona: bravura mostruosa, talento straripante»).

Gli viene chiesto se secondo lui è meglio Ameri o Ciotti.

«Come dire: meglio Messi o meglio Ronaldo? Unici e irripetibili».

La radio è passata di moda? Tutt’altro.

«Al contrario: è tornato prepotentemente di moda. E le nuove tecnologie esaltano la radio che ha il merito di non farsi inseguire come la tv: come un’amica ti accompagna al cinema, in auto, quando porti i tuoi ragazzi a giocare a pallone e le tue bambine ai giardinetti».

Quando gli chiedono di indicare il numero uno dei radiocronisti non ha esitazioni:

«Victor Hugo Morales. Raccontò il gol di Maradona contro l’Inghilterra del 1986 senza nemmeno usare parole. Un mostro di bravura. Una volta durante la finale di Libertadores Boca-River a Madrid, lo vidi, mi avvicinai, stavo per chiedere una cosa e lui: ciao Francesco, come stai? Mi conosceva. Per me fu come un gancio sinistro al mento di Joe Frazier».

Repice ha un passato da curvaiolo.

«Per una vita. Portavo gli striscioni allo stadio, andavo in treno dappertutto. Per questo ho sempre grande rispetto per il mondo delle curve».

Era in curva anche in occasione della finale della Coppa dei Campioni del 1984 tra Roma e Liverpool, persa dai giallorossi ai rigori. Il giorno dopo, racconta,

«Avevo l’esame universitario di Diritto civile. Risposi ai professori con tanta e tale rabbia che penso me l’abbiano regalato per paura».

E’ rimasta celebre la foto che lo ritrae in curva a festeggiare dopo la vittoria della Roma contro la Juventus, nel 2001.

«Juventus-Roma 2001, partita chiave per lo scudetto, ero a bordo campo, soffrivo l’inferno anche se raccontavo la partita in maniera algida. La Juve segna due volte, li rimontiamo. A fine partita corro in campo tra Batistuta e Totti facendo il gesto delle orecchie ai tifosi della Juve. Ma c’era un fotografo di Tuttosport… La mattina dopo mi chiama il mio redattore capo Marco Martegani che mi dice con voce tetra: vai a vedé che razza di capolavoro hai combinato… Su Tuttosport c’era la mia foto con un titolo: Radiocronista Rai fa festa con la curva. Sprofondai. Credevo che la mia carriera fosse finita prima ancora di cominciare».

Dice di essersi imposto di non avere amici tra i calciatori. E parla di Immobile.

«Due o tre anni fa dissi che Ciro Immobile, secondo me, non aveva una dimensione internazionale. Lui, con una gentilezza, un garbo e un’educazione rare, mi disarmò durante una chiacchierata in un aeroporto. Ho preso una bella lezione, da un ragazzo meraviglioso di grande dolcezza. Ecco, di Ciro mi piacerebbe essere amico».

Non si è stufato di raccontare sempre la Juventus campione?

«Scudetti meritati. La loro ferocia la vedi quando fanno il torello prima della partita. Gli altri scherzano e ridono, loro rischiano di spaccarsi le gambe. La differenza è tutta lì».

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