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L’eccezione Milan che sul razzismo dà lezione di serietà alla ipocrita Serie A

Raccoglie prove, indaga e poi gira gli atti alla Figc. Che al pari degli altri club è interessata solo ad avere più pubblico. Che ci frega del razzismo?

L’eccezione Milan che sul razzismo dà lezione di serietà alla ipocrita Serie A
Mg Milano 03/03/2021 - campionato di calcio serie A / Milan-Udinese / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Zlatan Ibrahimovic-Paolo Maldini

Un giorno di tre mesi fa circa, un attimo prima che l’Italia risolvesse in gloria sportiva i suoi inciampi politico-sociali, Giorgio Chiellini aveva promesso di fare qualcosa “contro il nazismo”. Razzismo, voleva dire razzismo. Lo colsero in fallo mentre lui e i suoi compagni di Nazionale traballavano mezzo genuflessi contro l’Austria: inginocchiarsi o no, quello era il problema. Il problema era un altro, evidentemente. E di quel “qualcosa”, buttato lì come un pallone pericoloso in fallo laterale, non c’è traccia. Né mai ci illudemmo che dicesse sul serio, sia chiaro.

Nel frattempo in cinque giornate appena di campionato i razzisti – i nazisti di Chiellini, come quelli dell’Illinois – hanno già rimesso le priorità a posto. Ululano, offendono, rimano le peggio cose pressoché impuniti. A Verona contro Abraham, a Torino contro Maignan, a Milano contro Bakayoko e Kessie, a Udine contro i napoletani tutti in quanto tali.

La risposta istituzionale – in attesa che Chiellini s’inventi altro – è stata la solita: i referti, il Giudice sportivo, lo spicciolame delle sanzioni per responsabilità oggettiva. I club, tutti tranne uno, hanno preferito la strategia dell’opossum, per ribadire invece al governo ben altra priorità: servono più spettatori allo stadio. Quindi, anche, più razzisti. Non importa. La quantità, ora, per la qualità si vedrà poi.

La notizia, al netto di questo melmoso pantano sempre uguale a se stesso, è quel “tutti tranne uno” di cui sopra. L’uno è il Milan.

Il Milan ha preso a comportarsi da società “europea”. Che non è una definizione di plastica, abusata per farsi belli alle orecchie di questa provincia mediatica. Il Milan ha reagito all’inglese: ha raccolto prove e testimonianze audio e video incredibilmente sfuggiti alle note degli ispettori federali, ha prodotto una sua documentazione e l’ha presentata alla Figc che sui cori razzisti della tifoseria laziale ha aperto un’inchiesta. Ha fatto il loro lavoro e gliel’ha sbattuto in faccia. Ha preso l’iniziativa invece di camuffarsi da vittima della società infame come fanno gli altri.

Stessa strategia interventista nel caso di Maignan insultato da una rumorosa parte della curva juventina: senza aspettare le carte bollate federali ha coinvolto direttamente la Juve che (precisazione del Milan stesso) si stava già adoperando per identificare i colpevoli. Non siamo in Premier dove i razzisti da stadio vengono fulminati in poche ore e banditi per anni ma poco ci manca.

L’amministratore delegato del Milan, Gazidis (ex Arsenal), ha spiegato che il club tiene tanto all’esposto presentato contro quei cori.

«E’ un nostro impegno morale denunciare ogni forma di discriminazione che coinvolga il nostro club, che non possiamo e dobbiamo ignorare».

Né nel caso di Bakayoko e Kessie né nel caso di Maignan ci sono state segnalazioni da parte degli arbitri o degli ispettori. Men che meno nel caso di Udinese-Napoli: il pubblico cantava allegro l’evergreen “Vesuvio lavali col fuoco” e nessuno fiatava. Ci ha pensato, a posteriori, il giudice sportivo a vendicare l’oltraggio: una multa di 10.000 euro all’Udinese. Così la prossima volta ci pensano su due volte, tié.

Il Milan dunque ha scelto il fai-da-te. L’ulteriore macroscopico segnale dato all’esterno da una dirigenza illuminata, che scandisce il suo operato nella serietà, peraltro poco ostentata. Va da sé che questa sobrietà d’intenti e di modi, nel contesto italiano, è originale se non inedito.

Lo aveva fatto anche muovendosi sul mercato con una pragmatica resistenza ai ricatti dei procuratori, gestendo i rinnovi con intelligenza: trattative finché si può, poi piani B. Maignan al posto di Donnarumma eccetera. E lo fa ogni domenica (o sabato, o quel che è) Paolo Maldini pilastro morale di questa nouvelle vague dirigenziale. Il video in cui, appena terminata Juve-Milan, Maldini resta in campo e riaccoglie uno ad uno i suoi giocatori, chi con una pacca chi con un abbraccio, due paroline e un sorriso, è diventato virale. Perché è un atteggiamento non conforme all’isteria solita. E’ l’immagine della società nella sua massima espressione, quasi ministeriale.

L’atteggiamento autorevole che il Milan tradisce – caloroso e attento con la squadra, scostante con gli ultras propri o altrui – anche solo la sua percezione, fa bene al calcio italiano più del luccicore della vittoria sportiva. Perché scansa la retorica, agisce. Si inginocchia, a suo modo: restando all’erta. Mentre altri promettono di fare qualcos’altro, e s’inchinano all’incuranza.

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