Potrebbe essere l’uomo giusto. Ha vinto con la giusta moderazione (quindi non solletica il senso di inferiorità dei napoletani) e non sembra in lotta col mondo che non gli ha riconosciuto il suo valore
Prima che il sollucchero si interrompa e le agiografie si tramutino in contestazioni, è interessante domandarsi perché Luciano Spalletti potrebbe essere l’uomo giusto per il Napoli. Di lui solo si tratta, in effetti, visto che, per motivi sia storici che congiunturali, il telaio della squadra è rimasto invariato, a meno di un innesto a centrocampo finora rivelatosi eccellente, garantendo allo spogliatoio una essenziale stabilità.
Negli anni alle nostre spalle, i partenopei sono stati attraversati da diverse esperienze: se archiviamo quella di Gattuso come sostanzialmente fallimentare e quella di Sarri come un unicum nella carriera di questo allenatore (cosa che finora pone qualche dubbio sul suo effettivo impatto sulle squadre da lui dirette), due sono i tecnici interessanti nella storia passata: Benitez e Ancelotti.
Il primo è stato oggettivamente il principio del cambiamento storico di questa società; il secondo ha fatto bene nel primo anno ed ha certamente fallito gli obiettivi da lui stesso prefissatisi nella esperienza interrotta durante il secondo. Entrambi sono stati tecnici dell’”altrove”: presentavano curricula pesantissimi, non avevano in animo di venire a Napoli ad accantonare anni di anzianità professionale e hanno costantemente portato l’ambiente al di fuori di se stesso, verso un limite che si è rivelato, con sfumature diverse, strutturale. Il messaggio costante è stato: voi non potete bastare a voi stessi, c’è bisogno di esplorare altro. Queste forze per così dire centrifughe sono state la caratterizzazione principale degli anni di questi tecnici in città e non è capzioso dire che la città li ha in grossa parte rigettati, in modo chiaro e trasversale.
Spalletti è, in queste premesse, abbastanza diverso. Non è un allenatore con l’etichetta del vincente: ha vinto con la giusta moderazione. Agli occhi del tifoso napoletano questa precondizione è essenziale: l’atavico senso di inferiorità malcelato di cui la città è completamente imbevuta non permette di riporre fiducia in chi invece è riuscito, addirittura altrove. Il passato di moderato vincente è il vero (ancorché tacito) lasciapassare di cui gode oggi mister Spalletti a Napoli.
Il punto è cosa farne di cotanto green pass. Allenatori del passato, poco o per nulla vincenti, hanno giustapposto la loro frustrazione a quella cittadina costruendosi una carriera – quella del Guardiola nascosto nella celebre periferia che il mondo ancora non ha scoperto (guarda caso). Spalletti non pare essere tra questi: forse per le sue esperienze passate, forse per convinzioni personali o solo per carattere, egli non pare essere un uomo in perenne contrasto col mondo ingiusto che lo opprime. Appare piuttosto come un uomo che, tutto sommato, sa. Si presta al gioco dove conviene ed è necessario (“è bello essere noi”), allenta la presa dove si rischia di andare a sfociare nel ridicolo (“siamo solo una squadra di calcio”). D’altra parte non sembra neppure essere (o non lo è ancora) un uomo dell’altrove: il mister sembra sornionamente lavorare per mantenere, contenere e rivivificare quanto ha, senza presentare conti troppo salati ai propri giocatori. Almeno non adesso. È possibile che questa strategia si riveli vincente, specie in un campionato di rara decadenza, in cui la società più ricca potente e blasonata deve affrettarsi a piazzare altrove il proprio acquisto più oneroso e sportivamente fallimentare e la detentrice dello scudetto deve trovare nuove sistemazioni per i propri giocatori più rappresentativi.
L’alchimia, così, potrebbe funzionare assai bene. Insigne può continuare a provare infiniti tiri a giro, ma anche a tentare la giocata che davvero serve a lanciare l’attaccante in porta una volta tanto; Koulibaly può salire in cattedra come il condottiero che sfonda le porte avversarie, mentre è lasciato libero di evidenziare una continuità dell’attuale direzione tecnica con quella del precedente allenatore, difficile da apprezzare dall’esterno se non, forse, con un microscopio elettronico ad altissima risoluzione.
Alla fine, sovrano, c’è il risultato. Quello che vediamo è indiscutibile: la squadra ha trovato il suo giusto spazio mentale, non teme l’avversario, crede nei propri mezzi. Quanto non si vedeva da decenni. Se sia una miscela destinata a durare lo sapremo nel futuro. Per ora sarebbe bene gioire, rallegrarsi, vivere con un po’ di spensieratezza uno sport che, di questi tempi, in città, risulta un po’ troppo appannaggio di vecchietti umarell sul filo della costante incazzatura. Magari Luciano Spalletti farà sorridere anche loro.