Il Napoli deve uccidere subito le partite quando è in grado di farlo. E deve imparare a rispondere le avversità cambiando radicalmente pelle
Il Napoli dominante
I primi minuti di Napoli-Spartak Mosca sono stati un concentrato di qualità tecnica e tattica da parte della squadra di Luciano Spalletti. Ovviamente per il gol, che però – bisogna dirlo – nasce da una pessima uscita del portiere Maksimenko. Ma la buona partenza degli azzurri va oltre i primi secondi: subito dopo la rete di Elmas, e fino all’espulsione di Mário Rui, i calciatori di Spalletti hanno giocato in maniera dominante, palesando tutta l’intenzione di chiudere la partita e poi gestirla solo dopo aver messo al sicuro il risultato. Proprio come ha scritto Massimiliano Gallo, però, questa supremazia non è stata concretizzata, trasformata in gol. E così, dalla mezz’ora in poi, il Napoli si è ritrovato dentro una gara completamente diversa dal punto di vista fisico, tattico ed emotivo.
La nostra consueta analisi tattica, che ovviamente terrà conto delle montagne russe determinate dai cartellini rossi comminati dall’arbitro Kruzliak, deve però cominciare dall’inizio. Ovvero, da questa sensazione di superiorità manifesta che però il Napoli non è riuscito a sfruttare fino in fondo. Per farlo, cominciamo a comprendere le scelte iniziali di Spalletti: il tecnico toscano ha optato per il 4-3-3 puro in fase attiva, quindi con il triangolo rovesciato (Fabián Ruiz pivote, Zielinski ed Elmas mezzali) davanti alla linea difensiva composta da Di Lorenzo, Manolas, Koulibaly e Mário Rui; in avanti, tridente classico con Politano-Petagna-Insigne.
Il 4-3-3 del Napoli in fase d’impostazione
Come detto, il Napoli ha imposto il suo gioco fin dai primi minuti. La squadra di Spalletti è stata agevolata anche dallo Spartak, dalle spaziature e dall’atteggiamento della squadra russa: bassa, passiva, schierata con un 3-4-2-1 che in fase difensiva si trasformava in un 5-4-1 senza alcun tipo di slancio offensivo.
Gli allenatori moderni che utilizzano una difesa a tre, di solito, attuano questa soluzione tattica per poter avere un difensore “supplementare” in fase passiva, ed essere tendenzialmente meno esposti agli attacchi avversari. In un contesto del genere, i due “braccetti” – di solito solo uno dei due, a seconda delle caratteristiche dei giocatori – si sganciano in fase di impostazione e si aprono in ampiezza per supportare l’esterno a tutta fascia quando viene puntato dai laterali avversari. Nello Spartak, entrambe queste dinamiche non si sono mai verificate. E quindi il Napoli ha avuto superiorità numerica in tutte le zone del campo, sia sugli esterni che nella fascia centrale.
In questi due frame, praticamente consecutivi, si vede come la staticità e il baricentro basso della difesa dello Spartak abbiano determinato una condizione di superiorità numerica in tutte le zone del campo. Ovviamente a favore del Napoli.
È in questi momenti di supremazia che si sono manifestate le grandi differenze strategiche, cioè relative ai principi di gioco, rispetto alla scorsa stagione. Il nuovo Napoli, infatti, cerca sempre di muovere il pallone per vie centrali, alle spalle delle linee avversarie, e solo dopo si sposta sugli esterni. Il terzino e il laterale offensivo sono uno sfogo secondario, non i catalizzatori-registi della manovra.
Con il 4-3-3, poi, queste possibilità si moltiplicano: sia i difensori centrali che Fabián Ruiz – sempre più a suo agio nella posizione di pivote, ma ne parleremo tra poco – possono muovere il pallone sulle due mezzali e sui due esterni offensivi, che sfruttano la loro posizione a piede invertito per entrare in campo. E per farsi trovare alle spalle dei centrocampisti avversari. A quel punto, ma solo a quel punto, il pallone può essere smistato sugli esterni. Contro lo Spartak, non a caso, è stata proprio questa la manovra più utilizzata dal Napoli fino all’espulsione di Mário Rui.
L’altra differenza riguarda il bilanciamento sulle due corsie: proprio perché il Napoli non costruisce il gioco sugli esterni, piuttosto lo rifinisce, ora anche Di Lorenzo viene sfruttato come arma offensiva a destra. Degli 11 cross tentati fino al minuto numero 30′, ben 3 sono stati effettuati dal terzino destro della Nazionale. Tutti e 3, inoltre, sono arrivati dall’interno dell’area di rigore: tutto merito della superiorità numerica di cui abbiamo parlato in precedenza, che ha permesso a Di Lorenzo di sovrapporsi con continuità e in maniera pericolosa.
I 3 cross tentati da Di Lorenzo: tutti prima del 30esimo minuto
In questo contesto, il segnale più incoraggiante è quello arrivato dalla prestazione di Fabián Ruiz. Come scritto in questa rubrica dopo le ultime gare di campionato, la crescita del giocatore spagnolo nel ruolo di pivote è merito anche del grande contributo – tecnico, dinamico, mentale – di Zambo Anguissa. Nei primi 30′ di Napoli-Spartak, però, Anguissa non c’era. Ciononostante, Fabián ha dimostrato di sentirsi sempre più a suo agio nella posizione centrale.
Anche questo miglioramento è dovuto al cambio di principi di gioco di cui abbiamo parlato in precedenza: il Napoli di Spalletti è una squadra che pratica un sistema di possesso più ambizioso rispetto a quella di Gattuso. Anzi, diciamola meglio: la costruzione dal basso che fa oggi il Napoli è decisamente più rischiosa rispetto a quella che si attuava un anno fa. Perché vuole esplorare gli spazi dietro le linee avversarie, non va a “rinchiudersi” sulla fascia – laddove, va detto, un’eventuale perdita del possesso sarebbe meno pericolosa da gestire in transizione.
All’interno di un sistema simile, Fabián si esalta. L’andaluso ha sempre avuto la capacità di farsi vedere e farsi dare la palla e proteggerla, ma tende(va) spesso a essere troppo lento nell’effettuare il passaggio elementare richiestogli da un certo tipo di costruzione bassa. Paradossalmente, un giocatore come lui riesce a essere più efficace quando gli appoggi che deve fare sono più complessi. Più rischiosi. Con Anguissa al suo fianco – bravissimo a coprirlo ma anche a sostituirlo come regista – giocare in questo modo è diventato ancora più semplice, per Fabián. Come detto, però, prima dell’espulsione di Mário Rui, l’ex Betis aveva mostrato di poter giocare con la stessa efficacia anche senza il camerunese. Insomma, aveva confermato le sensazioni positive in merito alla sua trasformazione in regista mobile. I numeri non mentono: nella prima mezz’ora, Fabián ha accumulato 34 passaggi totali, record assoluto in campo. Di questi, ne ha sbagliati solo 5.
Tutti i passaggi di Fabián Ruiz durante Napoli-Spartak. Al 90esimo sono stati 66 in totale, con una precisione dell’85%.
Il Napoli dominato
Un Napoli così bello, così concentrato e così deciso a chiudere subito la partita, così avvantaggiato dal contesto tattico, ha avuto un unico ma enorme demerito: non ha segnato subito il secondo gol. In realtà non ha avuto a disposizione moltissime occasioni nitide – solo 5 tiri di cui 3 in porta – e infatti la più grande occasione fallita è stata quella capitata a Zielinski al minuto 34.
Ma il punto è proprio questo: con la mole di gioco accumulata, la squadra di Spalletti avrebbe dovuto costruire più palle gol. Anche perché poi, come detto, tutto è cambiato: Mário Rui si è fatto espellere e il Napoli ha perso il controllo della partita. Basta confrontare le percentuali di possesso palla prima e dopo il cartellino rosso al terzino portoghese: gli azzurri sono scesi dal 64% al 39%. Per cercare di risistemare la squadra, Spalletti ha scelto di passare al 4-4-1. Con Malcuit entrato al posto di Insigne, sono stati Elmas e Di Lorenzo a cambiare posizione.
Lo Spartak ha cercato di approfittare subito della situazione, alzando immediatamente la frequenza ma soprattutto il ritmo del suo possesso palla. Il tecnico Rui Vitória, come si vede anche dello screen appena sopra, ha fatto una scelta molto furba: non ha cambiato disposizione tattica. In questo modo tutte le inferiorità numeriche accusate prima dell’espulsione di Mário Rui si sono ribaltate, cioè sono diventate delle superiorità a favore della squadra russa.
Anche in questo caso, due frame praticamente consecutivi: lo Spartak ha sempre la possibilità di scaricare facilmente tra le linee o in ampiezza. C’entra ovviamente la superiorità numerica in senso assoluto, ma è anche una questione di schieramento in campo.
Da quel punto in poi, il Napoli è stato dominato. Non tanto per il numero di occasioni costruite dallo Spartak, quanto per l’impossibilità manifesta, da parte degli azzurri, di comandare il match senza comandare anche il pallone. Era l’unica prova che, finora, la squadra di Spalletti non aveva affrontato: anche nell’altra partita giocata in inferiorità numerica, quella contro il Venezia nella prima giornata di campionato, gli azzurri avevano continuato a gestire il possesso. Contro lo Spartak, questo stress test è stato fallito.
Certo, ci sono da considerare almeno tre aspetti che, in qualche modo, giustificano o comunque ridimensionano questo “fallimento”: in primis, ovviamente, l’inferiorità numerica e la qualità maggiore dello Spartak Mosca rispetto al Venezia; in secondo luogo, le caratteristiche tecniche, fisiche – quindi genetiche – della squadra di Spalletti: pur avendo modificato in maniera anche piuttosto radicale i principi che regolano la risalita del campo del Napoli, il tecnico toscano guida comunque una squadra composta da Insigne, Fabián Ruiz, Zielinski, Politano, ecc. Molti di questi giocatori hanno un fisico e una tecnica per cui sono affini al passing game. A un certo modo di governare le partite.
Che poi questa visione – come detto sopra – possa essere riveduta, corretta, aggiornata e anche diluita, se vogliamo, non cancella una tendenza evidente. Un dato che è prima di tutto antropometrico, quindi oggettivo. Non a caso, viene da dire, il Napoli è la squadra che ha la maggior percentuale di possesso palla medio in Serie A (61,4%). E anche a Leicester, contro un avversario di qualità e con caratteristiche diverse da qualsiasi squadra italiana, la scelta strategica di Spalletti era stata quella di abbassare i ritmi attraverso il possesso palla.
I cambi nella ripresa
Subito dopo l’intervallo, forse proprio per permettere al Napoli di determinare il contesto giocando in maniera più verticale, Spalletti ha inserito Osimhen e Anguissa. Lo Spartak non si è fatto intimidire, anzi ha continuato a tessere la sua tela: difesa a tre contro cui nemmeno Osimhen può fare miracoli; sfruttamento della superiorità numerica attraverso possesso palla; sovraccarico del gioco sulla destra, laddove Moses – il giocatore largamente più forte dell’organico – ha fatto la differenza. Il gol nasce da una sua azione personale e da un dribbling secco su Politano subito dopo un calcio d’angolo; il calcio d’angolo in questione nasce da un’azione di accerchiamento dello Spartak che poi ha aperto sulla destra, ovvero dalla parte di Moses.
Tutti i palloni giocati da Moses dal minuto 30′ in poi. Quando si dice: garantire ampiezza.
Dopo il pareggio dello Spartak, come confermato anche da Spalletti nel postpartita, il Napoli ha cambiato modulo e si è disposto con una sorta di 3-5-1. Malcuit è stato messo dalla parte di Moses proprio per cercare di limitarlo, Di Lorenzo è scalato a fare il terzo centrale. Sulla destra, Politano è diventato esterno a tutta fascia. Questo schieramento è esistito a quando Spalletti ha effettuato un cambio forse un po’ azzardato, almeno secondo chi scrive: Lozano per Politano. In virtù del fatto che il Napoli stesse giocando con un modulo d’emergenza, con un sistema in cui il quinto di centrocampo deve agire e pensare da terzino in fase di non possesso, il messicano forse non era l’elemento da inserire. Basta rivedere il suo (mancato) ripiegamento in occasione del gol di Ignatov:
Una bella azione, praticamente senza una reale opposizione
Certo, rivedendo l’azione è evidente come tutto parta da una palla persa a centrocampo e da una pressione forse troppo ambiziosa di Anguissa. Da lì in poi, si innescano una serie di buchi e di mancati rientri a catena che portano al tiro a porta spalancata da parte di Ignatov. Ma il punto è proprio questo: il Napoli di Spalletti, come detto prima, è una squadra abituata a gestire il pallone, e anche i ritmi della partita, in fase offensiva. Quando difende, invece, è una squadra che accorcia sempre il campo. In questo caso, forse, sarebbe stato meglio non farlo. Anche perché l’azione si è svolta con un Lozano schierato fuori posizione, quindi (ancor più) assente nella copertura.
Poi sono arrivati l’espulsione di Caufriez, un altro cambio modulo da parte di Spalletti (tornato alla difesa a quattro), l’errore in costruzione di Koulibaly che ha determinato il gol di Quincy, infine la rete di Osimhen. Tutti episodi che hanno poco di tattico, e che Spalletti ha inquadrato in maniera perfetta nel postpartita: «Avremmo dovuto gestire meglio certi momenti. Loro sono stati una squadra con più esperienza, in quel frangente».
Conclusioni
Dal punto di vista tattico, il Napoli visto contro lo Spartak Mosca è una squadra ancora in salute. Nel senso: ha un’identità, ha degli automatismi, e dopo alcune partite di calcio puramente liquido ha mostrato un carattere e uno stile ben definito. In realtà, proprio questo aspetto si è ritorto contro gli azzurri nel momento in cui la partita ha cambiato faccia. Dopo l’espulsione di Mário Rui, la squadra di Spalletti non è riuscita ad adattarsi a un nuovo contesto, quindi a nuove esigenze. Se consideriamo che, dal 30esimo minuto in poi, lo Spartak ha tentato 12 volte la conclusione e il Napoli è riuscito a tirare una sola volta in porta, per di più nel recupero del secondo tempo, vuol dire che qualcosa è andato storto.
Qualcuno risponderà: c’è stata l’espulsione. Certo, quello è stato l’episodio che ha stravolto il match contro lo Spartak. E che, molto probabilmente, ha tolto al Napoli una vittoria che sarebbe stata netta e meritata, dopo quello che si era visto nella prima mezz’ora. Ma resta il fatto che il cartellino rosso è parte integrante del gioco del calcio, quindi potrebbe ritrovarsi a giocare così è un’eventualità che potrebbe ricapitare.
In virtù di tutto questo, Spalletti dovrà lavorare su due punti. Primo: il suo Napoli deve uccidere subito le partite quando sembra (è) in grado di farlo. Secondo: il suo Napoli deve rispondere alle avversità cambiando pelle in maniera davvero radicale, per quanto possibile. C’è tempo per portare avanti questo programma, e le basi sono molto buone. Ma per chi ambisce all’eccellenza, e il Napoli può farlo, il percorso passa anche da qui.