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Cuadrado: «Vengo dalla povertà, senza Dio non sarei nessuno. Il talento non basta, va coltivato col lavoro»

A La Stampa: «Ai giovani della Juventus cerco di trasmettere allegria: a volte siamo troppo tesi, per me la vita è felicità»

Cuadrado: «Vengo dalla povertà, senza Dio non sarei nessuno. Il talento non basta, va coltivato col lavoro»
Lazio's Italian forward Ciro Immobile (L) fights for the ball with Juventus' Colombian forward Juan Cuadrado during the Italian Serie A football match SS Lazio vs Juventus FC. (Hermann)

La Stampa intervista Juan Cuadrado, centrocampista della Juventus e della Colombia.

«Ai giovani della Juventus cerco di trasmettere allegria: a volte siamo troppo tesi, per me la vita è felicità. Che non vuol dire essere giocherelloni o superficiali, le risate non rubano concentrazione: chi ha il mio carattere può essere frainteso, a me capitò a Udine con Guidolin».

Il successo sul Chelsea dà alla squadra una nuova consapevolezza, dice, «ma dobbiamo tenere i piedi per terra e continuare a lavorare».

E sulla vittoria:

«Magari non avremo giocato il miglior calcio, ma, ripeto, siamo stati squadra. E conta il risultato».

Su Allegri:

«Mi conosce, sa dove mi trovo meglio. Ma sa anche che metto davanti la squadra e comunque l’importante è giocare, perciò sono disposto a ricoprire qualsiasi posizione».

Anche con Sarri e Pirlo era intoccabile.

«Non sempre. Con Sarri all’inizio non ero titolare, ho trovato spazio dopo alcuni infortuni. Non è stato semplice riadattarmi a terzino: lo facevo in Colombia, ma era un calcio diverso. Con Pirlo ricordo un colloquio: non mi vedeva convinto del ruolo, ci siamo parlati, gli ho spiegato con sincerità dove e come, secondo me, potevo fare la differenza: anche lui mi ha dato fiducia».

Su Ronaldo:

«Conosciamo la sua classe e sappiamo cosa ha rappresentato per noi, ma la cosa più importante è la Juventus. Stiamo lavorando per non fare notare la sua mancanza».

Sui cori razzisti, come quelli rivolti dagli juventini a Maignan, allo Stadium.

«La partita dovrebbe essere vissuta solo come divertimento e tutti dovremmo essere più responsabili. Invito a riflettere sulle conseguenze di certi gesti, di certe parole: non si fa male solo al ragazzo in campo, ma alla sua mamma, ai suoi figli, alla sua famiglia».

Sul rapporto con Dio:

«Ringrazio Dio per quello che ho, per quello che mi ha dato. Non basta possedere il talento, va coltivato con il lavoro, ma non dobbiamo dimenticare che ci viene dato dall’alto. Io vengo dalla povertà, dal popolo, senza Dio sarei nulla: sono grato per l’opportunità che mi ha concesso e ho una relazione quotidiana con lui. Consapevole che nessuno è perfetto».

 

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