POSTA NAPOLISTA – L’obiettivo potrebbe essere cavalcare l’onda di questo nuovo prodotto (freemium) per rilanciare anche il campionato italiano

Caro Napolista, non posso definirmi tifoso del Napoli, almeno non secondo i canoni tradizionali del tifo italico. Mi trovo negli Stati Uniti, dove risiedo da quasi un decennio, essendomi inizialmente trasferito per perfezionare gli studi ed avendo poi deciso di rimanere per lavoro e amore. Essendo originario dell’entroterra campano ed essendo cresciuto durante gli anni bui della storia recente della SSC Napoli, il mio legame con la squadra è sempre stato non tenue ma inesistente se non perfino astioso. Le cose sono cambiate quando col ritorno in Serie A ed il mio trasferimento prima al Nord e poi all’estero, il Napoli è diventato un tratto identitario ed uno dei canali per rimanere in contatto con le radici. Mi piace leggere il Napolista che per me è una finestra non solo sul calcio, ma anche un luogo di discussione di attualità e cultura da una prospettiva “napolitana” (sì, lo ammetto, penso siate radical chic). Ho seguito le vostre opinioni sul futuro del calcio, sull’interesse delle future generazioni, sullo sviluppo dei mercati domestici e stranieri, sui mezzi di distribuzione e fruizione del prodotto, così come gli ultimi interventi sulla “controcultura” da TikTok e il rapporto tra la Serie A e Fifa 22, e mi sono spinto a scrivervi per condividere la mia personalissima prospettiva con chi avrà intenzione e pazienza di leggerla.
Sono trascorse poche settimane da quando il Napolista celebrava come un grande evento, una vera e propria cesura nella storia, la collaborazione tra Konami ed il Napoli e la conseguente intitolazione del centro di allenamento alla società nipponica. Ebbene, sì, la sponsorizzazione di Konami, così come quella di Amazon e pure quella di EA7, sono “eventi epocali” nella storia di una squadra di calcio che ha vivacchiato ai margini del calcio che conta (quando le è andata bene) e che, al netto di due o tre effimere parentesi di bel gioco (concetto di ardua definizione), ha vinto qualcosa solo quando ha avuto tra le sue file il più grande calciatore della storia (e pure in quel settennio avrebbe potuto vincere di più). Pertanto, a mio umilissimo avviso, questi tentativi di ADL di traghettare la società nel nuovo millennio, di “alzare la posta”, sono ancora più encomiabili se si contestualizza la SSC Napoli e la stessa Serie A ed il posto che ciascuna occupa nel calcio e nel mondo.
Se da un lato posso condividere alcune delle premesse di Sandro Valdarno (che ipotizzo essere un esponente della gen-Z, così come io apparterrei ai Millennial), dall’altro non sono d’accordo con certe sue conclusioni.
Inizio con l’affermazione che «non è il calcio ad aver perso di appeal, [ma è] quello italiano ad averlo fatto». Bisognerebbe analizzare come l’interesse verso il calcio italiano sia cambiato a livello domestico e a livello globale. Sicuramente i nove anni di dominio juventino, preceduti da un ventennio di regno congiunto con le milanesi, avranno avuto un effetto nocivo sull’interesse della Serie A, ma si potrebbe pensare più a livello italiano che internazionale, dato che la maggior parte degli stranieri appassionati al calcio italiano seguono il Milan, l’Inter e la Juve. Andrebbe poi considerato che anche il campionato tedesco, francese e spagnolo hanno pochi padroni, essendo anche loro caratterizzati, con le dovute differenze, da una sorta di “oligarchia ristretta”. Si dovrebbe inoltre considerare che la diffusione di internet, il cambiamento radicale del paradigma comunicativo e lo spostamento del tifoso dagli stadi alle case hanno reso molto più facile seguire squadre e campionati lontani, aumentando così la concorrenza per la Serie A. Senza dilungarmi ulteriormente, concluderei che in mancanza di dati oggettivi e misurabili è difficile presentare un’analisi completa e condivisibile.
Torniamo allora al rapporto non strettissimo del calcio italiano con FIFA 22 come causa e conseguenza della mancanza di attrattiva verso le nuove generazioni e prova della marginalizzazione del pallone nostrano. Credo questa idea venga dalla popolarità del gioco tra i giovani e meno giovani e la minor diffusione di PES. Non dimentichiamo però che da quando le licenze calcistiche hanno fatto la loro comparsa nei videogiochi, il calcio italiano è sempre stato presente in nella serie FIFA. E se invece l’allontanamento da FIFA fosse l’opportunità per entrare di forza in eFootball e cavalcare l’onda di questo nuovo prodotto (freemium)? E se questo nuovo videogioco, in virtù del suo innovativo modello di business, raggiungesse il successo sperato, diventando “la” simulazione calcistica, e le squadre ed i campionati ivi licenziati godessero di successo riflesso? Perché questa non potrebbe essere la scommessa della Serie A e delle sue squadre?
Mi si consenta infine un commento sulla querelle DAZN. Credo sia innegabile che l’intrattenimento sia mutato e si sia mosso drasticamente verso lo streaming (che dovremmo forse italianizzare una volta per tutte con “fluenza”). Questo è ancora più vero per i giovani ed i non “poco tecnologicizzati”. Non avendo le competenze tecniche per valutare lo stato della rete di telecomunicazione italiana, non mi addentro in un giudizio irrilevante, ma mi permetto di notare, che a quanto mi risulta da amici e conoscenti sparsi per il territorio nazionale, è stato finora possibile guardare la Champions League su Amazon Prime senza patemi, il che mi porta a sospettare che il problema non sia nella rete ma nell’infrastruttura predisposta da DAZN. Mi pare scontato che il cliente pagante voglia usufruire del servizio e guardarsi comodamente le partite che desidera, quindi DAZN dovrebbe fare gli investimenti necessari (se non li avesse ancora fatti) per permettere a tutti di vedere in alta qualità, senza rallentamenti ed in contemporanea gli incontri di Serie A. Tuttavia, mentre reputo giusta la legittima critica al servizio offerto da DAZN, mi sembra assurdo pensare come fanno alcuni che la soluzione sarebbe tornare al satellite ed alla sola fruizione televisiva. Sarebbe come andare ad affrontare i caccia a reazione con l’arco e le frecce. Il mondo cambia, la tecnologia evolve e non si può rimanere indietro, pena l’irrilevanza. In un mondo sempre connesso non si può pensare che l’unico modo di guardare una partita sia seduti davanti alla tv (con la birra gelata, direbbe Boškov), ma si deve poter vedere da qualunque dispositivo IoT, smartphone, tablet, smartwatch, occhiali digitali, frigorifero o tostapane che sia! E non si può imporre la visione sequenziale passiva (i fatidici 90 minuti immobili sul divano) come unica modalità, ma si dovrebbe poter consentire la regia individuale agli spettatori così come la possibilità di guardare i replay delle azioni salienti durante l’evento sportivo. La soluzione da proporre per risolvere i problemi di DAZN non dovrebbe vertere in un ritorno al passato (che tanto non torna più) ed in un chiudersi a riccio nella propria (superata) comfort zone, ma invece dovrebbe puntare a potenziare lo streaming, a migliorare il servizio ed a sviluppare nuove tecnologie e prodotti che guardino al futuro e siano al passo con il mondo in cui viviamo e vivremo.