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Il boss dell’NBA che gestisce il brand Jordan ha ucciso un uomo 50 anni fa. E non l’aveva mai detto a nessuno

Larry Miller, istituzione del basket americano, nel 1965 uccise un ragazzo a sangue freddo. Ora ha scritto un libro-confessione che ha lasciato tutti di stucco

Il boss dell’NBA che gestisce il brand Jordan ha ucciso un uomo 50 anni fa. E non l’aveva mai detto a nessuno

Larry Miller è l’uomo che  amministra il marchio Jordan dal 2012, oltre che un caro amico del mito del basket mondiale. E’ un’istituzione della NBA, vicinissimo per anni a David Stern. È stato presidente dei Portland Trail Blazers, tra il 2007 e il 2012. E’ una celebrità, amico di celebrità. E 50 anni fa ha ucciso un uomo, a sangue freddo. Per 50 anni non ha detto niente a nessuno, nemmeno a due dei suoi tre figli. Il segreto gli ha consentito di fare una carriera sfavillante. Ora ci ha scritto un libro-confessione: “Jump: My Secret Journey From the Streets to the Boardroom”, in collaborazione con la sua primogenita, Laila Lacyche. Ha lasciato di stucco tutti.

In anteprima Miller ha raccontato la storia a Sports Illustrated. Ed è una storia pazzesca.

L’omicidio risale al 30 settembre del 1965, Miller (che ora ha 71 anni) aveva 16 anni, e da tre anni faceva parte di una banda di strada. Un mese prima un suo amico era stato pugnalato e ucciso durante una rissa. Miller si convinse che doveva essere vendicato. Bevve una bottiglia di vino con tre amici e uscì in strada. All’angolo tra la 53esima e Locust Street a West Philadelphia sparò un colpo di pistola calibro 38 ad un ragazzo. Senza motivo. La vittima fu poi identificata come il 18enne Edward White. Non lo conosceva. Non faceva parte di altre gang.

“Eravamo tutti ubriachi, ero in preda alla nebbia. Subito dopo mi dissi: oh, merda, che ho combinato? Mi ci sono voluti anni per capire il vero impatto di quello che avevo fatto. Non avevo alcun motivo. Per anni sono scappato da tutto questo. Ho cercato di nasconderlo sperando che la gente non lo scoprisse”.

Miller fu arrestato. E in prigione si è laureato a 30 anni, in ragioneria alla Temple University. Tornato in libertà, capì subito che quell’omicidio lo avrebbe perseguitato. E cominciò a sotterrare la vicenda. Al colloquio per l’assunzione in Campbell, gli chiesero se fosse stato arrestato o condannato per un crimine negli ultimi cinque anni. La sua carriera cominciò così: con un “no”. Nel 1997 entrò in Nike, due anni dopo divenne presidente del nuovo brand Jordan. Un crescendo lavorativo condito dagli incubi e da emicranie fortissime, che al disvelamento del segreto, durante la stesura del libro sono andate via. Prima dell’annuncio ha avvisato una ad una le persone a lui più vicine, Jordan compreso.

“La speranza è che la mia storia fornisca ispirazione a chiunque sia stato in prigione e una lezione su come la società li vede. Voglio assicurarmi che la società comprenda che le persone incarcerate possono dare un contributo. E che l’errore di una persona, anche il peggior errore commesso, non dovrebbe influenzare ciò che accade nel resto della sua vita”.

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