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La difesa selettiva del Napoli di Spalletti

Sa sempre scegliere se essere aggressiva o compattarsi dietro. È uno zero a zero che vale molto. Preoccupanti le prove di Insigne e Zielinski

La difesa selettiva del Napoli di Spalletti
Roma 24/10/2021 - campionato di calcio serie A / Roma-Napoli / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Andre' Zambo Anguissa-Roger Da Silva Ibanez

Pareggi che valgono molto

Quando una partita finisce 0-0 ed entrambi gli allenatori si dicono soddisfatti del risultato e della prestazione delle loro squadre, vuol dire che la suddetta partita ha dato indicazioni positive a entrambi. E quindi, è un evento che deve essere accolto e vissuto bene, da tutti. A maggior ragione se una delle due squadre coinvolte veniva da otto vittorie – iniziali – consecutive in campionato, mentre l’altra era reduce da una figuraccia epocale in Europa League. In realtà le premesse c’entrano poco: in virtù del suo andamento, Roma-Napoli 0-0 sarebbe stata una partita da accogliere e vivere bene in qualsiasi momento della stagione. Perché sia la squadra di Mourinho che quella di Spalletti hanno dato la sensazione di essere vive. Di essere consapevolmente protagoniste di due progetti ambiziosi, in crescita e con degli evidenti margini di crescita. Ed è questa, forse, la notizia più importante per il Napoli.

Che poi basta riguardarla, la partita, per comprendere la soddisfazione di Spalletti. Il Napoli è arrivato a Roma e ha dato l’impressione di poter controllare il pallone, il proprio gioco, gli avversari. Quei pochi momenti in cui gli azzurri non sono riusciti a gestire la gara – i primissimi minuti del primo tempo e la fase centrale del secondo tempo – coincidono con i momenti di massima spinta della squadra di Mourinho, quindi non possono essere addebitati agli uomini di Spalletti. Anzi, il fatto che alla fine il risultato resti positivo, e che – soprattutto – Ospina abbia mantenuto inviolata la propria porta deve essere considerato un segnale importante. Per dirla in poche parole: ci sono pareggi, anche per 0-0, che valgono molto. Ecco, quello colto a Roma è uno di questo, per il Napoli. Anche dal punto di vista tattico.

Modi diversi per controllare una partita

Per l’analisi di Roma-Napoli, non si può partire che dalle scelte di formazione dei due allenatori: se Mourinho ha disegnato la sua squadra con il solito 4-2-3-1/4-5-1, anche Spalletti ha optato per la continuità, per il suo consolidato 4-3-3 spurio tendente al 4-2-3-1, con Zielinski spesso proiettato a galleggiare alle spalle di Osimhen. Dal punto di vista dei principi di gioco, questi due moduli speculari non potrebbero essere più lontani, anzi più opposti tra loro: la Roma – come da ideologia classica di Mourinho – è una squadra che vuole esercitare il suo controllo sulla partita attraverso il presidio e gli sfruttamento degli spazi, e poi delle doti dei suoi migliori giocatori.

È per questo che i giallorossi sono stati raramente aggressivi sulla costruzione del Napoli, hanno preferito rimanere compatti nella propria metà campo per sfruttare gli spazi aperti in ripartenza. Soprattutto dal lato di Zaniolo, un giocatore dal fisico eccezionale e quindi perfetto per condurre transizioni aggressive, violente. Non a caso, le rilevazioni di Whoscored hanno evidenziato che la Roma ha costruito il 44% delle sue azioni sulla destra.

Pur mantenendo un baricentro non troppo basso, la Roma non pressa alta sulla costruzione da dietro del Napoli. In questo screen, si vedono chiaramente le due linee da quattro che rinculano invece di aggredire in fase difensiva.

Il Napoli, da parte sua, è un squadra che desidera toccare, scambiare, gestire il pallone. È così che esercita il suo controllo sulle partite. Non a caso, il dato grezzo finale dice che gli azzurri hanno tenuto il possesso palla per il 63% del tempo totale. Nei momenti più caldi, più difficili, il Napoli ha utilizzato proprio questa sua tendenza a tenere la sfera per riprendere il dominio della partita. Per stemperare gli ardori della Roma. Rispetto al passato, però, c’è una grande differenza: la squadra costruita da Spalletti possiede e riesce a utilizzare degli strumenti che gli permettono di alzare i ritmi. Che gli permettono di farlo all’improvviso. E, quindi, di diventare pericolosa. Uno di questi è la capacità di muovere il pallone con diversi giocatori, in diverse direzioni.

In questo senso, l’occasione più pericolosa costruita dal Napoli nel corso della partita contro la Roma è un esempio perfetto. Nell’intervista postpartita rilasciata a Dazn, Spalletti ha spiegato che uno dei meccanismi attuati per provare a superare il sistema difensivo di Mourinho è stato l’avanzamento – alternato – dei due terzini in fase di impostazione, così da disegnare una sorta di 3-4-2-1 sul prato dell’Olimpico. Proprio in uno di quei momenti, per la fattispecie c’era Mário Rui in posizione di quinto, il continuo movimento – orizzontale e verticale – del pallone ha creato un buco nella difesa della Roma.

Sarebbe stato un gol splendido

Come si vede nel video appena sopra, tutto parte da una penetrazione di Koulibaly – un’azione tipica dei “braccetti” di una difesa a tre – che crea superiorità numerica a centrocampo mentre Mário Rui garantisce ampiezza dal suo lato. Il successivo scambio con Insigne e Zielinski e l’apertura sull’altro quinto di centrocampo – Politano, in questo caso – determinano un duello uno contro uno con il terzino della Roma, che poi non assorbe bene l’inserimento del suo avversario diretto. Fabián ha l’enorme qualità che serve per appoggiare l’azione e poi restituire la palla a Politano con un meraviglioso passaggio filtrante, ma lo sviluppo e la sequenzialità di questa azione spiegano il cambiamento del Napoli. Un cambiamento doppio, sul breve e sul lungo: la squadra di Spalletti è molto più fluida e mutevole rispetto al passato. Quindi, conseguentemente, può e sa attaccare in diversi modi.

Certo, questa azione avviene al culmine di un momento in cui il Napoli era riuscito a tenere un’alta intensità nel possesso palla. In qualche modo, quindi, dipende anche dall’inerzia del match in quel momento. Era evidente che la squadra di Spalletti fosse stata programmata per essere più incisiva in quella fase della gara, o comunque in un momento in cui la Roma fosse calata un po’. In realtà, ed è proprio questo il punto, il Napoli sembra avere la qualità e le conoscenze per aumentare i giri ogni volta che vuole. È una dote/consapevolezza rara, che appartiene alle grandi squadre, anzi le fa: gli azzurri, oggi, non hanno bisogno di andare a mille lungo tutto l’arco dei 90′. Possono scegliere, anzi scelgono quando accelerare e sfruttare la qualità grande e diffusa degli attaccanti, degli uomini offensivi.

Forza difensiva

Se il Napoli, oggi, può permettersi queste variazioni senza perdere equilibrio, è perché subisce pochissimo in difesa. Le due – uniche – grandi occasioni avute e non sfruttate dalla Roma sono arrivate su un pallone perso da Zielinski in uscita e su un calcio di punizione: in entrambi i casi, Abraham e Mancini non hanno trovato lo specchio della porta. Tutte le altre azioni costruite dai giallorossi non sono state pericolose. Lo dicono i numeri: la Roma ha tirato per 13 volte verso la porta di Ospina, e solo una volta ha costretto il portiere colombiano a una parata; tra l’altro semplicissima; delle 12 conclusioni restanti, 6 sono state respinte da un giocatore azzurro e 6 sono finite fuori.

Ma dove e come si manifesta questa forza difensiva? Come agisce il Napoli in fase passiva? Per dirla in una sola parola: la squadra di Spalletti è selettiva, cioè sceglie se essere aggressiva o compattarsi dietro, a presidio degli spazi, a seconda dell’andamento della partita. Nei momenti in cui non gestiscono il pallone – pochi, in realtà: il Napoli è la squadra che tiene di più il pallone in Serie A, con una media di possesso per match pari al 58% – gli azzurri tengono un baricentro tendenzialmente alto, così da avere la possibilità di accorciare subito il campo nel caso si presentasse l’opportunità di pressare gli avversari. Allo stesso modo, però, sanno rinculare all’indietro e attuare una pura difesa posizionale quando il pressing viene superato, oppure quando il pallone viene lanciato subito nella trequarti.

Due frame praticamente consecutivi tra loro: nel primo,  il Napoli alza l’intensità della pressione portando cinque uomini nella trequarti difensiva della Roma, più Fabián Ruiz subito dietro; pochi secondi dopo, la squadra di Mourinho ha mandato a vuoto il pressing del Napoli e così gli uomini di Spalletti si sono compattati, hanno preferito arretrare nel 4-5-1 d’ordinanza.

È un sistema che, ovviamente, può nascondere delle insidie. Dei rischi. Soprattutto quando molti uomini accompagnano la fase offensiva. A Roma, per esempio, alcune transizioni negative – ovvero il momento successivo alla perdita del pallone, quindi la ripartenza degli avversari – non sono state gestite benissimo. Di conseguenza, una squadra come la Roma, geneticamente predisposta e anche allenata a situazioni del genere, ha potuto attaccare in parità se non addirittura in superiorità numerica. In casi del genere, però, la presenza e le letture di difensori dal fisico dominante (Koulibaly) o anche solo prestante (Di Lorenzo e Rrahmani) ha permesso al Napoli di uscire indenne.

Molti uomini in avanti, il Napoli perde palla ed è scoperto. In realtà rientra bene, ma è in inferiorità numerica. Koulibalhy, però, è un gigante.

Non a caso, all’Olimpico abbiamo assistito a una delle migliori prove individuali di Koulibaly: 9 eventi difensivi totali, di cui 4 tiri respinti. Anche Di Lorenzo (5 eventi difensivi) e Rrahmani (5 eventi difensivi) hanno offerto delle buone prestazioni. E va così fin dall’inizio del campionato: il Napoli, infatti, è la seconda squadra per numero di conclusioni concesse agli avversari (9,3, meglio fa solo il Torino con 9) e ha subito solamente 3 gol finora. Esattamente un terzo rispetto a quelli incassati dalle squadre con la seconda miglior difesa, vale a dire il Milan e la Roma.

Prestazioni non esaltanti

In un contesto del genere, quello di una squadra solida in difesa ed estremamente fluida in attacco, le prestazioni dei giocatori diventano fondamentali. Ovviamente lo sono sempre, ma la varietà di schemi è una dote che presuppone l’assenza di meccanismi fissi. Ovvero quegli schemi che, in quanto ripetuti, funzionano sempre bene, o comunque meglio rispetto a giocate più improvvisate, meno studiate a tavolino. E allora, per concretizzare il predominio tattico in gol, servono intuizioni e grandi giocate dei singoli. A Roma, il Napoli è mancato proprio in questo aspetto. E nei suoi giocatori offensivi.

I nomi che vogliamo fare sono quelli di Osimhen, Insigne e Zielinski. In ordine di “gravità”. Rispetto ad altre gare della stagione, il centravanti nigeriano è stato meno dominante dal punto di vista fisico. E, soprattutto, ha attaccato la profondità con meno frequenza e varietà. È un’evidenza che trova riscontro nel numero dei palloni toccati (29) e nella geografia di questo contributo, molto meno varia che nelle partite precedenti. Va detto, però, che sulla prestazione di Osimhen pesano sicuramente la compattezza della Roma e la buona marcatura di Ibañez (uno dei difensori più veloci e dinamici del campionato); forse l’ex Lille inizia ad avvertire anche un po’ di stanchezza per le tante gare giocate in questo inizio di stagione, e poi comunque una gara meno brillante da parte sua, dopo un avvio folgorante, è da considerarsi fisiologica.

I palloni giocati da Osimhen durante Roma-Napoli: rispetto al solito, il centravanti nigeriano ha fatto molta fatica ad allargare e allungare la difesa avversaria.

Più preoccupanti, invece, le prove di Insigne e Zielinski. Pur risultando autori di 2 passaggi chiave – ovvero delle trasmissioni di palla che apportano un contributo significativo allo sviluppo dell’azione d’attacco, per esempio l’appoggio subito prima di una conclusione, oppure quello che permette di superare le linee di pressione avversarie – a testa, non sono riusciti a essere decisivi con il loro gioco tra le linee, né in fase conclusiva. Certo, anche per loro pesa la buona giornata della Roma in fase difensiva, ma per una squadra come il Napoli, che attacca alternando il possesso posizionale puro a veloci verticalizzazioni, è fondamentale che ci siano degli uomini negli spazi che facciano giocate determinanti. All’Olimpico, tutto ciò non è avvenuto.

Conclusioni

Spalletti può essere soddisfatto del percorso fatto finora, quindi anche del risultato raggiunto a Roma. All’Olimpico, del resto, la squadra di Mourinho aveva vinto tutte le gare giocate fino a ieri, subendo solo due gol. Il fatto che gli azzurri abbiano imposto il loro gioco e abbiano subito pochissimo per ampi tratti della gara è un segnale molto positivo in vista del futuro. E poi, anche se in questo spazio cerchiamo sempre di parlare di cose oggettive, resta il fatto che il Napoli, prima o poi, avrebbe dovuto fermarsi, interrompere il percorso netto tenuto finora – la famosa quanto inesistente Legge dei Grandi Numeri. Riuscirci senza ridimensionarsi, anzi tenendo testa alla Roma, non può che essere un’ulteriore iniezione di fiducia per Spalletti e i suoi giocatori.

Come scritto in questo spazio pure dopo la vittoria contro il Legia, ora il tecnico toscano dovrà lavorare per ampliare le possibilità della sua squadra. Quando Osimhen (e anche Insigne) fanno fatica a girare, oppure saranno assenti, il Napoli ha evidentemente bisogno di trovare alternative diverse. La forma scadente di Zielinski, in questo senso, priva la squadra azzurra di una fonte di pericolosità offensiva che potrebbe essere importante. Lo stesso discorso vale per Lozano e per Mertens, poco incisivi a Roma dopo essere subentrati a Politano e Insigne. Ecco, anche dai sostituti serve avere qualcosa in più. È il destino di una squadra che, al momento, può – quindi deve – concentrarsi solo sulla crescita specifica, sulla cura dei dettagli, perché il grosso del lavoro è già stato fatto. E anche piuttosto bene. È una cosa evidente anche dopo uno 0-0 come quello di Roma.

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