Al CorSera: «Quando Arbore mi venne a cercare al Derby mia madre gli disse: “Chi, quello? Ma è un deficiente, lasci stare”. Mi diceva: ma non ti vergogni a dire quelle cose lì?»
Il Corriere della Sera intervista Diego Abatantuono.
«Se non avessi fatto l’attore? Credo avrei aperto non un chiringuito, ma un ristorante, un locale. Mi piace stare con la gente, farla divertire, raccontare».
E’ nelle sale il suo ultimo film, «Una notte da dottore» di Guido Chiesa, in cui compare al fianco di Frank Matano. Un film girato a Roma durante la pandemia.
«A Roma sto bene. Ci sono venuto le prime volte a 15-16 anni, quando facevo il tecnico per i Gatti di Vicolo Miracoli. Lavoravamo al Teatro delle muse o al Tenda, quando facevano spettacoli, con cena a seguire, Renato Zero, Stefano Rosso, Adriano Pappalardo, la Schola Cantorum. Dormivamo in qualche alberghetto o a casa di qualcuno. Allora era meravigliosa, era meravigliosa l’Italia».
Quelle cene, per lui, sono state come una scuola.
«Non passavo inosservato. Il mio lavoro in realtà non era fare il tecnico: soffrivo di vertigini, ne soffro ancora, salire su una scala barcollante non faceva per me. Avevo 15 anni, avevo smesso di andare a scuola; i Gatti invece 20, appena finito il liceo. Venivano da Verona, provinciali acculturati, mentre io cittadino ero più smaliziato di loro. Cinque anni con loro, una scuola. Ero il quinto del gruppo. Se tu reggi la tavolata con i Gatti, Villaggio, Renato, sei già a buon punto. Già se riesci a esserci seduto conta: al Derby mi ricordo gente che cercava di intrufolarsi e invece veniva schienata. Sono autodidatta, l’ignorante più colto che abbia mai conosciuto, supero anche Celentano».
Racconta di quando Arbore lo andò a cercare al Derby per proporgli «Il Pap’occhio».
«Mia mamma Rosa stava al guardaroba. Iniziavo a essere conosciuto, ma non facevo tv, bisognava venire a Milano. Le ha chiesto di me. E lei: “Chi, quello? Ma è un deficiente, lasci stare”. Mi diceva: ma non ti vergogni a dire quelle cose lì? Io ero contento che facessero ridere Cochi, Renato, Beppe Viola, Jannacci. A me interessavano che ridessero loro».