A Sportweek: «Se qualche calciatore prendesse posizione, anche solo parlando di me, non potrebbe tornare a giocare in Turchia. Calhanoglu non mi segue neanche più sui social»
Su Sportweek un’intervista ad Hakan Sukur, uno dei più grandi calciatori turchi di tutti i tempi. In 18 anni di carriera ha segnato 227 gol, giocando anche in Italia, con Torino, Inter e Parma. Ma per problemi politici, gli è stato tolto tutto.
Nel 2008, dopo il ritiro, a 37 anni, Sukur entrò in politica e ottenne un seggio in Parlamento ma per contrasti ideologici con Erdogan è stato bandito dalla Turchia. Colpito da un mandato di arresto, gli sono stati confiscati tutti i beni sul territorio turco, da quelli immobili ai conti correnti. E’ ricercato. Sta ricostruendo la sua esistenza a Palo Alto, in California. Ha fatto decine di mestieri per sbarcare il lunario: titolare di una panetteria, autista di Uber,
ora gestisce un e-commerce con la moglie Beyda e insegna calcio a tempo perso.
«La mia situazione è difficilissima. Mi hanno tolto ogni cosa, la patria, il lavoro, quasi tutto ciò che ho guadagnato onestamente e che ho sempre investito in Turchia: sarebbe sacro, ma non è più mio. Erdogan mi aveva chiesto di far parte del suo partito perché così avrebbe avuto più voti e poi, solo perché non condividevo le sue idee e la piega del governo, mi ha trasformato in nemico pubblico. Il mio patrimonio è stato confiscato, i miei familiari perseguitati e discriminati, mio padre arrestato. Adesso difendere i diritti umani è diventato un dovere morale, a prescindere dalla nazionalità e dalla religione delle persone coinvolte. Purtroppo chi in Turchia ha alzato la voce per la democrazia come me, ne paga le conseguenze».
Parla dei calciatori turchi che giocano all’estero.
«Molti che giocano all’estero non hanno idea di cosa stia accadendo oggi, del regime che c’è in Turchia. Ci sarà qualcuno che appoggia il governo, qualcuno che punta a entrare nelle grazie di chi comanda per ottenere dei vantaggi, ma per molti è semplicemente meglio non schierarsi. Io stesso sono un monito per loro: se si alza la voce o la testa, si fa la mia stessa fine. Se qualcuno prendesse posizione, anche solo parlando di me, non potrebbe un domani tornare a giocare in Turchia perché tutto, dai club alla Federazione, è controllato dal regime».
Tra i turchi che giocano in Europa c’è anche Calhanoglu.
«Ovviamente Calhanoglu mi conosce, immagino sappia tutto della mia carriera come ogni turco, e prima di questa terribile situazione che vivo mi seguiva sui social media. Poi ha dovuto smettere perché un dittatore lo ha convinto che io e quelli come me sono dei terroristi. Oggi in Turchia è proibito anche fare soltanto il mio nome, mi chiamano “quel giocatore”: è meglio per tutti starmi alla larga. Tramite amici, però, so che Calha è un bravo ragazzo, umile, e mi spiace solo non potergli parlare dal vivo. Gli auguro il meglio e spero che faccia vedere il suo talento da voi. Poi un giorno vorrei conoscerlo in un Paese finalmente libero».