Solo due frasi, quasi alla fine del primo tempo ha urlato “tira, davanti alla porta si tira!” e, poco dopo, “uagliù, scetatev”.
Da quando ho iniziato questa rubrica mi sono ripromessa di non entrare mai nel merito del gioco, ma stavolta non ci sto, mi dispiace, proprio no. Io allo stadio, oggi, c’ero e non si è trattato di un pareggio. Secondo me è stata una sconfitta, altro che pareggio. La differenza sta in quel punto che il Cagliari ha trovato incastrato in una delle disgraziatissime e cadenti zolle del San Paolo e si è portato a casa. E ha irritato tutti. E non solo per la perfida lentezza nel riprendere il gioco,ogni volta, ma perché è scandaloso che una squadra come il Napoli non abbia un attacco degno di questo nome. Hoffer non era neanche in panchina, e questo, lo ha detto Massimiliano, è davvero un mistero insoluto. Denis sta lì per opera e virtù dello spirito santo perché il vaffanculo pronunciato da Quagliarella gli ha fruttato tre giorni di squalifica e lui che fa? Invece di approfittare del colpo di fortuna che gli è passato accanto si imbambola, non finalizza, non è concreto. Sembra uno della Primavera entrato in campo per caso. Lavezzi infortunato e nessuno da sostituirgli in attacco e Mazzarri che inserisce Bogliacino che, per carità, è un giocatore che mi è sempre piaciuto ma proprio non andava, oggi, non c’entrava niente. Perché non infilarci Cigarini? Probabilmente avrebbe reso meglio, ci serviva solo qualcuno che buttasse la palla avanti.
Risultato: il Napoli entra nel panico e il Cagliari prende coraggio. Un Cagliari che, però, proprio non c’era. Oggi erano undici contro uno: undici del Napoli contro Marchetti, l’unico che ha giocato davvero, guadagnandosi, non a caso, il titolo di uomo partita Sky. Pazienza non era in partita, con quella maschera che forse gli impediva anche la visuale e con Dossena, se possibile, le cose sono andate ancora peggio. Non si può far giocare uno che è evidentemente fuori forma. Per non parlare del clamoroso errore di Zuniga davanti alla porta.
Possibile che una squadra che avrebbe dovuto competere per la Champions debba fare affidamento su un difensore, Cannavaro, per buttare la palla avanti? L’unico che secondo me si è sacrificato davvero per la squadra. Hamsik che si ferma a centrocampo è una tristezza e quei palleggi in difesa, in area di rigore, avrebbero fruttato una goleada a una squadra un tantino, solo un tantino superiore al Cagliari. E quando i sardi sono rimasti in dieci non si è vista alcuna differenza. Nonostante si chiudessero tutti, la palla riusciva comunque a passare ma nessuno del Napoli è riuscito a segnare. Non si può segnare solo a porta vuota, proprio no.
Oggi avremmo dovuto stravincere, ma è stato evidente che non eravamo una squadra. Che a noi non servono grandi campioni come Ibra o Balotelli perché se appena esce Lavezzi si va nel panico vuol dire che qualcosa, a monte, non funziona. Certo, l’arbitraggio, e quel rigore palese negato, ma non è più tempo di cercare alibi e di piangersi addosso. Ci vuole qualcosa di più, un coibentante, un mordente che troppo spesso manca, soprattutto contro squadre che non rappresentano l’eccellenza ma che poi ci tolgono punti preziosi. Oggi abbiamo detto addio alla Champions e secondo me è giusto così. E forse non è neppure scontato che riusciamo ad entrare nell’Europa League.
Dietro di me, in Tribuna Posillipo, era seduto Gigi Caffarelli, 21 presenze e un gol nel Napoli del primo scudetto. Camicia bianca a righine azzurre, maglia verde brillante, jeans scuro, stivaletti di pelle marrone, occhiali specchiati viola e abbronzatura impeccabile. Imperturbabile, imperscrutabile. Non ha detto una parola, non un cenno, nulla che tradisse un’emozione. Solo due frasi, poche parole, che però ho trovato emblematiche, soprattutto perché pronunciate da uno che ha fatto parte di una squadra che ha fatto storia. Quasi alla fine del primo tempo ha urlato “tira, davanti alla porta si tira!” e, poco dopo, “uagliù, scetatev”. Poi è stato il secondo tempo ed è stato chiaro che non ce l’avremmo fatta. Io oggi non mi sono divertita. Proprio per niente.