A maggio del 2000, un bimbo paffuto di nove anni dice di tifare «solo il Napoli», però dice pure di volere «che la Lazio vince lo scudetto». Sbaglia il congiuntivo, non la speranza. Anzi, le speranze. Entrambe. Quell’anno, la squadra di Eriksson vince il campionato dopo un’incredibile rimonta sulla Juventus, e al termine di un’ultima giornata che è un massacro tra i cardiopatici. Napoli-Alzano Virescit è già finita 3-1, agli azzurri di Novellino, Schwoch e Stellone in avanti, manca tanto così alla promozione. Sarebbe la prima gioia calcistica nella vita del bimbo paffuto, che però quel pomeriggio è davanti a Quelli che il calcio a trepidare per un altro verdetto, quello della Serie A. La Juventus perde a Perugia più di un’ora dopo la fine di Lazio-Reggina 3-0, i biancocelesti sono campioni d’Italia. Qualche giorno dopo, il bimbo paffuto corre in edicola e acquista Calcio 2000, vecchio mensile di approfondimento. Legge poco gli articoi, guarda di più le immagini e le classifiche. La copertina di quel numero è questa qui.
In alto, si vede appena in questa foto a bassa risoluzione, ci sono due fotomontaggi. Due figurine immaginarie e immaginate. Rivaldo con la maglia della Lazio e Roberto Baggio con quella del Napoli. Baggio, inutile dirlo, è uno dei giocatori preferiti a casa del bimbo paffuto. Lui dice che i suoi calciatori preferiti sono Baggio, Del Piero e Zola perché gioca nel Chelsea, il padre gli risponde che nessuno è come Baggio. Oggi, a distanza di quasi sedici anni, ho scoperto quest’articolo di quei giorni su internet, dall’archivio di Repubblica. Marco Azzi dice che per il Napoli, in pole position «c’è Roberto Baggio. Il numero dieci dell’Inter l’altro ieri ha pubblicamente annunciato il suo gradimento per la maglia azzurra. «È un’idea molto suggestiva». Sposata subito dal procuratore del fantasista, Stefano Petrone. «Il Napoli ci interessa. Sarebbe una soluzione ideale per il futuro di Roby. Ma non c’è stato alcun contatto, con Ferlaino, che si fece vivo l’ultima volta tre stagioni fa, quando l’affare saltò in dirittura d’arrivo. Però la porta è aperta, purché si decida in due settimane~». Dipenderà soprattutto dal Napoli, accertata la sincera disponibilità di Baggio, che però non è interessato a giocare in serie B. È legato alla conquista della promozione in A, dunque, l’eventuale acquisto dell’ex stella della Nazionale». La Repubblica dice pure che il secondo obiettivo, in caso di fallimento dell’operazione-Baggio, è Gianfranco Zola. Meno male che a quel tempo, quel bimbo paffuto (sono io, l’avrete capito) non legge Repubblica.
La voce si sparge, se il Napoli viene in Serie A si compra a Baggio. Tutti già delirano, immaginano il codino e la maglia azzurra numero dieci e il San Paolo pieno e una punizione telecomandata e un Napoli da Coppa Uefa, che già sarebbe assai. Il bimbo ci crede, anche perché lo dicono i tg sportivi che segue sempre. Piano piano, però, le speranze si spengono: il Napoli ufficializza la separazione da Novellino e Schwoch, annuncia Zeman come nuovo allenatore. E Zeman, il bimbo lo sente sempre alla televisione, non può che bloccare l’acquisto di Baggio. Il mercato va in altre direzioni, ma mantiene sempre il segreto professionale: non sapremo mai se il Napoli non ha voluto Baggio o Baggio non ha voluto il Napoli. A casa, il bimbo ascolta, memorizza e ripete in giro quello che dice il padre, che Zeman non è buono e che per il Napoli ci vorrebbero Marcello Lippi e Baggio, insieme. A distanza di sedici anni, oggi che non parlo più con le parole di mio padre, penso che la scelta di Zeman divenne sbagliata solo nel momento dell’esonero. Zeman, per il Napoli, per quel Napoli sarebbe potuto andar benissimo. Ma solo dopo qualche tempo. Non l’abbiamo saputo aspettare. Qui non sappiamo aspettare. Prendemmo Mondonico.
Il punto è un altro. Baggio, alla fine, sceglie un’altra maglia azzurra (più verso il blu, però): quella del Brescia. Oggi che Roberto Baggio compie 49 anni, il mio modo di fargli gli auguri è chiedergli perché, quell’anno, non si impuntò a venire al Napoli. Non sarebbe stato un regalo solo al bimbo innamorato di lui e a suo padre, ma a un popolo che aspetta sempre questo: un messia che li salvi e li porti alla Terra Promessa. E poi sarebbe stato un dono anche a sé stesso. Roby, pensaci. Tu, gelosissimo della tua privacy, avresti bestemmiato tutte le ore del giorno e della notte per l’invadenza dei tifosi, ma avresti conosciuto il valore dell’amore vero, viscerale, di un pubblico calcistico verso un atleta. Non quello ovattato dai risultati di Torino, tantomeno quello tendente al tiepido di Brescia; forse avresti rivissuto a Napoli l’attaccamento di Firenze, ma elevato all’ennesima potenza. Forse, paradossalmente, è proprio questo che ti ha frenato. Forse, chissà. Il fatto è che secondo me avresti trovato lo stesso amore incondizionato che lega gli italiani alla Nazionale (durante i Mondiali e dopo i quarti dell’Europeo), che è stata sempre la tua unica squadra del cuore. Per quanto questa cosa sia pure deleteria, il Napoli è la (sola) nazionale di questa città. Non è un club come gli altri. Ne saresti diventato capitano, sicuramente. Probabilmente, avrebbero aspettato ancora qualche anno prima di ritirare la numero dieci del tuo amico Maradona, che fu eliminata dal roster proprio prima di quella stagione. L’ultimo a indossarla, prima del Pampa Sosa in Serie C, fu Claudio Bellucci. Ci avresti salvato in quella stagione, proprio come salvasti il Brescia (calcio di punizione nel “tuo” San Paolo a tempo scaduto: nemmeno in quel caso i napoletani furono capaci di fischiarti). E poi, ma perché mi piace immaginare, avremmo costruito intorno a te una squadra da decimo posto, qualche puntata in Intertoto e un’apparizione in Coppa Uefa una volta ogni tanto. Roba che oggi fa sorridere, ma che sarebbe stata il massimo in quel tempo difficile. E che sarebbe diventata bella perché c’eri tu in campo.
Forse saremmo riusciti a criticare pure il tuo acquisto, perchè esasperati dai troppi infortuni e dalle troppe domeniche in cui avresti dato forfait. Ma poi ti avremmo perdonato tutto appena saresti ritornato in campo, avresti salutato il tuo San Paolo e avresti fatto la prima veronica, il primo dribbling. O magari un gol così, che è arte pura e che neanche Carlo Mazzone riesce a spiegare e spiegarsi.
Ripensandoci dopo aver scritto di pancia, forse l’uomo Roberto Baggio ha fatto bene a preferire Brescia a Napoli. Il calciatore no, non me lo tolgo dalla testa. Una cosa è essere spinti ai Mondiali del 2002 dalle prestazioni e dal pubblico di Brescia, un’altra cosa è essere sponsorizzati dalla resurrezione del Napoli e dal San Paolo, lo stadio di Maradona. Almeno questo. Saresti andato in Giappone, dove sei (ancora) una specie di semidio, saresti entrato contro la Corea agli ottavi e avresti segnato il golden gol, altro che quello scartellato di Ahn. E poi ti saresti ritirato felice, appagato, forse dopo quella Coppa del Mondo vinta in finale con il Brasile di Ronaldo. Saresti tornato a Napoli solo per salutare, un’ultima volta, i tifosi che hai fatto innamorare giusto un po’ di meno di Maradona. Una partita d’addio nel settembre successivo, nel tuo San Paolo, con il bimbo paffuto che avrebbe chiuso un cerchio dopo che la sua prima partita allo stadio fu un Napoli-Bologna 0-0 dell’8 marzo 1998. Per vedere te quel giorno, per vedere te, idolo di infanzia, quell’ultima volta con indosso l’azzurro del Napoli.
Tanti auguri, Robbè. E mannaggia atté! Ma che dovevi fare con questo Brescia?