Ferlaino: «Una delle prime telefonate di complimenti, il giorno dopo lo scudetto, mi arrivò da Berlusconi: gentile e sportivo»
Il primo ricordo è lontano dal San Paolo, in mare. «La nave, quella festa organizzata dagli armatori Nicola d’Abundo e Salvatore Lauro per il Napoli campione d’Italia. Salpammo da Pozzuoli poche ore dopo la fine della partita con la Lazio. Io, i tecnici e i giocatori osservavamo dal mare i fuochi e i colori della città in festa. C’era Massimo Troisi a bordo. Assenti tutti i consiglieri della società». Corrado Ferlaino e il 29 aprile 1990, la domenica del secondo scudetto lontana vent’anni. Perché non c’erano altri dirigenti? «Non li invitai di proposito perché quell’anno avevo combattuto da solo contro tutti. Scelsi la nave perché l’ambiente era un po’ al limite: non volevo che i giocatori andassero quella notte per i fatti loro, magari a ubricarsi o chissà dove. Temevo gli eventuali titoli di alcuni giornali: vincono lo scudetto e danno scandalo».
Era già oltre il limite Maradona, schiavo della cocaina. «Soffrii davanti al suo declino umano: viveva male, quelle sostanze lo inducevano a raccontare bugie. Ero disperato. Quell’anno Maradona giocò soltanto nel finale: si mise in forma per i Mondiali». Napoli campione grazie alla vittoria a tavolino per la moneta che colpì Alemao a Bergamo: andò davvero così? «Lo scudetto dell’87 era stato meno combattuto: il Napoli era più forte e non c’era un avversario agguerrito come il Milan. Nel ’90 vi fu anche una difficile partita mediatica: da un lato Berlusconi con le sue tv e dall’altro la Rai, che aveva nel direttore generale Agnes un nostro grande tifoso. Berlusconi avrebbe voluto acquistare i diritti televisivi del calcio: tra coloro che in Federcalcio si opposero c’ero io. Sbagliato dire che vincemmo per quella moneta, che effettivamente colpì Alemao alla testa. La verità è che il Milan arrivò a pezzi alla partita-chiave di Verona mentre noi a Bologna ipotecavamo lo scudetto». Vent’anni fa chi era Berlusconi? «Un imprenditore che si muoveva tanto e frequentava gli ambienti giusti a Milano. Lo consideravamo un po’ sbruffoncello. Sinceramente non avrei pensato, allora, di vederlo un giorno a capo del governo. È maturato, è diventato un uomo da ammirare. Per quella storia della moneta vi furono aspre polemiche. Ma una delle prime telefonate di complimenti, il giorno dopo lo scudetto, mi arrivò da Berlusconi: gentile e sportivo». Il trionfo del ’90 segnò la fine del ciclo d’oro del Napoli. «Pochi mesi dopo conquistammo la Supercoppa, però i problemi erano evidenti. La città non aveva i problemi di oggi, c’era un’aria di speranza che ci spingeva, ma non riuscimmo a reggere il passo. Dai diritti televisivi non arrivavano milioni di euro come ora: gli incassi ai botteghini erano di 20 miliardi di lire, inferiori agli stipendi dei giocatori che ammontavano a 35. Se all’epoca vi fossero stati i soldi di Sky, il Napoli avrebbe vinto scudetti a valanga». Le è rimasto nel cuore qualche giocatore di vent’anni fa? «Tutti. Un presidente non deve affezionarsi a un solo calciatore». Il direttore generale era Moggi. «La semina era cominciata anni prima con Allodi e Moggi continuò sulla scia di Italo. Faceva parte di un’équipe vincente: Moggi ha dato al Napoli e tanto ha ricevuto dal Napoli». Che effetto le fa rivederlo, vent’anni dopo, imputato eccellente in Calciopoli? «Non rispondo perché dovrei dire cose spiacevoli». Il Napoli potrà vincere un altro scudetto? «Bisogna chiederlo al presidente De Laurentiis. Io, da tifoso, lo spero». Perché Ferlaino, dopo la cessione della società, non è più tornato al San Paolo? «Ma perché dovrei farmi venire proprio adesso un infarto dopo averlo evitato per trentadue anni, in migliaia di partite? Andrò in Sudafrica per i Mondiali: a tifare per l’Italia e a seguire l’Argentina di Maradona»
Francesco De Luca (tratto dal Mattino)