Con lui la difesa a tre non è un esperimento raffazzonato ma c’è un lavoro alle spalle. Ha dimostrato che il Napoli sarà una squadra durante la Coppa d’Africa
La rosa lunga
La vittoria contro il Leicester può avere e avrà un valore enorme nella stagione del Napoli. Per un motivo semplice: ha dimostrato che Spalletti può gestire le emergenze. E che sa farlo. Tra un po’ ne parleremo in maniera diffusa e approfondita, ma basti pensare che lo sfortunatissimo incidente capitato a Lozano ha tolto al Napoli uno dei quattro uomini offensivi a disposizione in tutta la rosa – considerando Politano fuori gioco per via del problema intestinale che l’ha colpito. Per ovviare a questa – ennesima – tegola piovuta in testa alla sua squadra, Spalletti ha inserito un terzino (o quarto di difesa, se vogliamo usare le definizioni moderne) che ha passato gli ultimi mesi della stagione scorsa in prestito alla Fiorentina. Che, evidentemente, era considerato fuori dal progetto. Ma che resta un giocatore validissimo, almeno per superare il primo turno in Europa League.
È proprio su quest’ultimo punto, che vale la pena concentrarsi. Con la sua lezione di calcio liquido, di adattabilità ed elasticità, Luciano Spalletti ha dimostrato di aver capito la cosa più importante da fare, se non addirittura l’unica possibile, per chi allena questo Napoli: chi non varia, non può vincere. Né tantomeno fare risultati importanti. Come detto più volte in questa rubrica: negli ultimi anni, chi costruisce la rosa della squadra azzurra non ha seguito un progetto fondato su un’identità di gioco, piuttosto ha ragionato in termini di completezza e profondità della rosa, senza basare troppo il reclutamento sulle caratteristiche dei giocatori. Per intenderci: il Napoli ha Osimhen, Mertens e Petagna. Tre centravanti diversissimi tra loro. E così via per gli altri reparti/ruoli.
Ecco, il risultato colto contro il Leicester, in piena emergenza, dimostra che il Napoli ha una rosa ibrida ma lunga. E valida. Forse non per poter vincere l’Europa League e giocarsi lo scudetto fino all’ultima giornata, soprattutto se continuerà questa sequela di infortuni e assenze. Ma di certo ha dei valori che possono bastare per superare un girone con Leicester, Spartak Mosca e Legia Varsavia.
Cosa ha fatto Spalletti
Ma andiamo per gradi e partiamo dalle scelte iniziali di Spalletti. L’allenatore del Napoli ha potuto prendere pochissime decisioni non forzate, ovvero l’inserimento di Meret al posto di Ospina e quello di Petagna al posto di Mertens in attacco; per il resto, rispetto a Napoli-Atalanta, la differenza è stata il ripristino alla difesa a quattro con Di Lorenzo-Rrahmani-Juna Jesus-Mário Rui e il ritorno di Malcuit in panchina; dal centrocampo in su, solo scelte obbligate, con Zielinski-Demme davanti alla difesa e il trio di trequartisti Lozano-Ounas-Elmas. Proprio questo trio doveva assolvere un compito ben preciso: tenere un pressing molto alto sulla costruzione da dietro a dir poco farraginosa del Leicester.
Il pressing intenso del Napoli, con i tre trequartisti altissimi sui difensori del Leicester
Si è trattata di una scelta coraggiosa e quindi rischiosa da parte di Spalletti. Subito dopo il frame che vedete sopra, una buona circolazione arretrata e un gran colpo di tacco di Barnes hanno prodotto il primo tiro in porta della partita, quello di Castagne contenuto da Meret e Mário Rui. Allo stesso tempo, però, questo atteggiamento aggressivo ha determinato il recupero palla decisivo per il primo gol di Ounas, pochi istanti dopo l’occasione sciupata da Castagne.
Anche la posizione di Ounas è una chiave tattica: l’algerino, teoricamente sottopunta del 4-2-3-1, è stato invece liberissimo di svariare su tutto il settore offensivo. E si è soprattutto aperto verso destra, come ad assecondare il suo istinto naturale, una sorta di attrazione verso la sua zolla di campo preferita. Questa dinamica ha determinato il gol del vantaggio e ha creato diversi problemi alla difesa del Leicester. Ma, va detto, ha anche tolto campo e spazio a Lozano, più che impalpabile prima di lasciare il campo per infortunio.
Tutti i palloni giocati da Ounas nel primo tempo: altro che sottopunta
Per il resto, la partita è stata molto semplice da decodificare, da spiegare: il Napoli ha cercato di gestire il possesso palla (dato grezzo del 55% a fine primo tempo), ma la fisicità e l’intensità del Leicester ha spesso impedito alla squadra di Spalletti di giocare con tranquillità. E infatti i momenti in cui gli azzurri si sono resi pericolosi sono coincisi con azioni rapide, dirette, con segmenti temporali di pressione alta sugli avversari. Che, bisogna dirlo, hanno mostrato – come del resto fecero anche all’andata – di avere una difesa a dir poco disattenta. Basta rivedere il primo gol di Elmas per rendersene conto: bastano un lancio lungo, uno strappo di Zielinski e un semplicissimo movimento a mezzaluna di Petagna per evitare qualsiasi tipo di opposizione.
Il primo gol di Elmas
Dopo questo gol, il Napoli ha subito la rete del 2-1 e poi quella del 2-2. È successo tutto in pochissimi minuti, ed entrambi i gol sono stati poco tattici. O meglio: sono nati da due situazioni di palla inattiva che si potevano gestire sicuramente meglio, ma in cui la casualità ha avuto un peso fondamentale. Facciamo riferimento al rilancio ciccato da Elmas ma anche a un tiro al volo di Dewsbury-Hall: una soluzione difficilmente ripetibile. Si può discutere sui e dei due falli commessi da Lozano e Petagna, quelli che hanno portato alle punizioni da cui sono scaturiti i gol del Leicester. Ma tutto rientra nel solito discorso sull’intensità di gioco: sia Lozano che Petagna sono andati molli su due passaggi a loro volta non proprio perfetti. Si sono fatti soffiare il pallone e hanno dovuto concedere punizione.
La difesa a tre (modernissima)
Quando Lozano si è infortunato, Spalletti ha rivoluzionato la sua squadra. Con Malcuit al posto del messicano, il Napoli è passato dal 4-2-3-1/4-4-2 a un 3-4-3/5-2-3 puro; la linea arretrata era composta da Di Lorenzo, Rrahmani e Juan Jesus; nel doble pivote c’erano ancora Zielinski e Demme, mentre Malcuit e Mário Rui si sono trasformati in esterni a tutta fascia; in avanti, tridente puro con esterni a piede invertito (Ounas a destra, Elmas a sinistra) e Petagna nello slot di attaccante centrale.
Pochi istanti prima del gol decisivo di Elmas, il Napoli imposta da dietro con la difesa a tre. Si vede chiaramente il 3-4-3 a diamante, con Demme più basso e Zielinski qualche metro davanti a lui.
È qui che si è manifestata la differenza netta con lo scorso anno, con i raffazzonati e vuoti esperimenti di difesa a tre fatti da Gattuso. È evidente che Spalletti, per reagire all’emergenza, ma forse, chissà, anche per puro gusto di sperimentazione, ha lavorato su un Napoli in grado di giocare con la difesa a tre. E di interpretare questo modulo di gioco in maniera modernissima, offensiva. Si vede chiaramente nell’azione del gol di Elmas. Che, è quasi pleonastico dirlo, è il frutto di un segmento di gioco ad altissima intensità, sia in fase difensiva che offensiva.
Il secondo gol di Elmas
Questo gol è incredibilmente tattico. Tattico nel senso che è studiato, preparato a tavolino, eseguito con puntualità in tutti i movimenti. Tutto comincia con la costruzione dal basso, e col solito pallone imbucato tra le linee per liberare Zielinski; il pressing disordinato del Leicester viene ulteriormente disarticolato da un altro passaggio indietro e poi dal lancio in avanti di Juan Jesus per Elmas, bravissimo a metterlo a terra; Ounas, come un perfetto esterno d’attacco, attacca la profondità tagliando alle spalle del difensore, liberando così la fascia per Malcuit.
È qui, a questo punto, che avviene la magia tattica: Di Lorenzo accende il turbo e si sovrappone internamente pur essendo il braccetto di destra della difesa a tre; in questo modo, il calciatore del Napoli crea una situazione di superiorità numerica che viene contenuta ma non abbastanza da Barnes, l’esterno offensivo di parte del Leicester. A quel punto, la qualità del cross, del velo di Petagna e l’attacco dell’area da parte dell’esterno opposto, Elmas, determinano il gol. Tutto perfetto.
Spesso – e giustamente – l’Atalanta di Gasperini viene elogiata perché i braccetti della difesa a tre, soprattutto Tolói, si sganciano in avanti per creare situazioni di superiorità numerica. Ecco, l’hanno fatto anche il Napoli e Di Lorenzo. E l’hanno fatto bene. Anzi, hanno dato l’impressione che si tratti di un’azione da tempo memorizzata negli e dagli schemi azzurri, quando in realtà è solo la seconda partita in cui il Napoli adotta questo schieramento. Evidentemente, però, Spalletti ci ha lavorato su in allenamento. Lo ha fatto prima di questa partita e di quella con l’Atalanta. Ha cercato e trovato un modo per non subire l’emergenza infortuni. Ha pescato tra le alternative e, con queste, ha costruito una squadra non solo credibile, ma anche tatticamente efficace. È una novità bellissima. Anzi, è una rivoluzione politica, emotiva e del pensiero, per quanto concerne il Napoli.
Petagna in battaglia
A quel punto, però, il Napoli è scoppiato. O meglio: ha deciso di switchare, di cambiarsi ancora d’abito. Di diventare una squadra d’attesa, passiva per non dire speculativa. Dal gol di Elmas fino al termine della gara, il Leicester ha accumulato il 63% di possesso palla; ha tentato per 5 volte la conclusione, tutte e 5 dall’interno dell’area di rigore. Certo, Meret non è stato costretto a intervenire mai, solo in uscita alta su sviluppi di corner. Ma è vero pure che Maddison (su errore di Di Lorenzo) e Vardy hanno avuto occasioni piuttosto nitide per andare in gol. E non le hanno sfruttate.
Il 5-3-2 difensivo del Napoli nella seconda parte della ripresa
Su questa scelta ha pesato sicuramente anche il cambio Mertens-Ounas e il passaggio a un 3-5-2/5-3-2 di puro contenimento, con il solo Elmas a offrire uno sbocco e uno scivolamento sugli esterni una volta recuperato il possesso. Ci sono due considerazioni da fare su questa sostituzione che ha fatto abbassare il Napoli: la prima riguarda le inevitabili rotazioni in attacco, rese ancora più necessarie dal probabile stop di Lozano, anche alla luce dei recenti infortuni di Ounas; la seconda riguarda il tipo di partita che si delineava all’orizzonte, e la necessità di dare a Petagna la maggior libertà possibile per poter andare alla battaglia contro i giocatori del Leicester.
Con Ounas, un giocatore che – come abbiamo visto – tende a occupare sempre la stessa posizione, il centravanti ex Spal avrebbe avuto meno spazio a destra. Invece le sue sportellate, i suoi controlli e i suoi ripiegamenti, preziosissimi per spezzare il ritmo del Leicester, sono avvenuti a tutto campo. I dati, come sempre, non mentono: tra il 63esimo e il 90esimo, Petagna è stato il giocatore del Napoli che ha toccato più palloni (19). Mertens è stato impalpabile (appena 5 palloni giocati), ma Spalletti non aveva alternative. Anzi, in realtà ha costruito – magari anche fortunosamente – il contesto migliore per Petagna. Ma noi vogliamo credere che sia tutto un piano studiato, vogliamo dare questo credito all’allenatore del Napoli. Se lo merita, per lo splendido lavoro che sta facendo.
Tutti i palloni giocati da Petagna tra il 63esimo e il 90esimo minuto di gioco
Conclusioni
C’è poco altro da aggiungere. Anzi, forse l’unica cosa è il rientro di Manolas, un calciatore che potrebbe tornare utile – soprattutto in assenza di Koulibaly. Il resto si illustra tutto nei risultati e soprattutto nella capacità di adattamento di una squadra finalmente guidata in maniera strutturata, articolata, senza ideologie di riferimento ma non per questo priva di identità. Anzi, è vero l’esatto contrario: il Napoli di Spalletti è una squadra forte proprio perché mutevole, la cui caratteristica migliore risiede esattamente nella consapevolezza di poter offrire sempre buone prestazioni a prescindere dal contesto.
In questo senso – ne ha parlato già Massimiliano Gallo nelle sue analisi a caldo di ieri sera, ma è bene ribadirlo – il lavoro di Spalletti sui giocatori poco utilizzati da Gattuso è visibile e pure di enorme valore: Malcuit e Ounas sono stati dati in prestito nella scorsa stagione e oggi sono due risorse, delle alternative utilissime al progetto e pienamente coinvolte in un lavoro di ampliamento delle conoscenze e delle possibilità tattiche, quindi degli strumenti a disposizione per vincere le partite. Lo stesso discorso vale per Rrahmani, è valso per Lobotka, lo stesso iter sta trasformando Elmas in un giocatore di livello internazionale, ha cambiato la vita di Mário Rui, sta rendendo Di Lorenzo un difensore completissimo, e ci perdonerete il superlativo un po’ cacofonico, non proprio elegante.
Ciò che sta facendo Spalletti è soprattutto questo: sta aggiungendo e quindi creando valore. Lo sta facendo al di là dei risultati, per il futuro a breve ma anche a lungo termine del Napoli. Ora i calciatori e i dirigenti sono certi che a gennaio o a febbraio, quando ci sarà la Coppa d’Africa e poi si dovrà affrontare una squadra retrocessa dalla Champions League, magari il Barcellona o il Borussia Dortmund, il Napoli potrà giocarsi le sue carte anche senza Osimhen, Insigne, Fabián Ruiz, Anguissa, Koulibaly. Magari non avrà le qualità per vincere, ma di sicuro avrà lavorato per offrire una buona prestazione. Se torneranno i campioni-titolari, tanto meglio: nel calcio le ambizioni, inutile nasconderlo, dipendono dalla qualità dei giocatori a disposizione. Poi, nel caso, dalla bravura degli allenatori. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, il Napoli ha già capito – e dimostrato – di poter contare su un valore aggiunto. Finalmente.