Il faccione di Freddy Rincon, in questo articolo, fa pensare. A quanto sia ingiusta la vita, soprattutto per chi, da sudamericano, viene a giocare a Napoli. E fallisce la prova.
Il Napoli e il Sudamerica sono un luogo comune, una cartolina che è sempre (troppo) facile sovrapporre: le affinità genetiche, gi emigranti che tornano a casa e che qui si sentono ancora più a casa. Vero, ci mancherebbe. Cinque nomi veloci, facendo esclusioni clamorose e ingiuste: Vinicio, Pesaola, Sivori, Maradona, Cavani. E oggi Higuain, che è una bellissima continuazione di una storia che, ci scommettiamo, non finirà mai. Però poi ci sono anche gli altri, quelli che magari si preferisce buttare nel dimenticatoio dopo un’esperienza breve e negativa.
Numericamente, com’è ovvio che sia, sono di più quelli cestinati che quelli osannati: secondo Wikipedia, infatti, con la maglia azzurra hanno giocato in tutto 83 calciatori provenienti dal Sudamerica. Non tutti dei fenomeni, ovviamente. Ecco che allora una sorta di “revisionismo del bidone” ci ha portato a cercare le storie più belle di questi sudamericani dimenticati. Di questi calciatori che da queste parti non sono riusciti a lasciare tracce, o almeno tracce profonde. Nonostante Napoli e il Sudamerica siano un luogo comune.
Iniziamo dalla fine: nel 2006, quando ha già lasciato il calcio, Mauricio Pineda viene condannato a otto mesi di carcere, in Italia. Uno dei tanti casi di passaporti falsi che ha annerito il cielo del calcio italiano tra la fine degli anni Novanta e il nuovo millennio lo colpì in pieno viso, insieme al compagno (all’Udinese) e connazionale Mauro Navas.
È transitato per Napoli nel 2000, l’anno della Serie A di Zeman e Mondonico. Col senno del prima, un acquisto neanche tanto male: 25 anni appena compiuti, un passato da buona promessa come terzino di spinta e pure un Mondiale giocato con la Seleccion di Daniel Passarella, nel 1998. Un solo match da titolare, ma anche un gol e 22 minuti nel quarto di finale con l’Olanda. Roba buona, insomma, soprattutto per una squadra che viene dalla Serie B e mette sulla sua panchina Zdenek Zeman, che è solito far lavorare bene i terzini. Succede che però Pineda gioca la sua prima partita alla terza giornata, subito dopo il suo arrivo: Napoli-Bologna 1-5. Altri due match e la panchina di Zeman salterà, lasciando Pineda a barcamenarsi nel 3-5-2 di Mondonico, con un ruolo di esterno a tutto campo che non è proprio nelle sue corde.
La stagione finirà in maniera pietosa, per lui e per il Napoli: 22 presenze in tutto, una media voto di poco superiore al 5 e la retrocessione in Serie B. È la fine della sua carriera ad alto livello: finirà a giocare in Serie B col Cagliari, ritenterà la fortuna nell’Udinese, la squadra che nel 1997 l’aveva portato in Italia. La parabola si chiuderà con le maglie di Lanus e Colon, in patria, a neanche trent’anni. Nella sua pagina Wikipedia in spagnolo, si legge che Mauricio è fratello del famoso pasticciere Hernan e del mago Lalo. Come dire: una famiglia di celebrità.
Una certezza, una sicurezza trovarlo qui. Calderon è un po’ l’emblema degli abbagli di mercato post-maradoniani del Napoli e di Ferlaino, ed è probabilmente l’icona, insieme al compagno di quella stagione William Prunier, del peggior Napoli di sempre.
Non c’è bisogno di raccontare la storia di questo calciatore a Napoli, riportiamo solo alcune quotes, tratte dalla sua pagina dedicata sul sito calciobidoni.it. Luigi Pavarese: «È un acquisto dal quale ci aspettiamo molto. Calderon è finora il nostro più importante investimento». Bortolo Mutti: «Ha un buon sinistro, è veloce nei movimenti, si vede che tocca bene la palla». Claudio Bellucci: «Calderon mi ha impressionato molto. Si vede che ha delle buone doti. Dal punto di vista tecnico credo che sia al nostro stesso livello, se non superiore. Uno che e’ riuscito a giocare al posto di Balbo o Batistuta nella nazionale argentina dovra’ essere per forza di cose un attaccante di grande valore». José Luis Calderon: «La panchina? Non mi spaventa. Sono troppo sicuro di me».
Di nostro ci aggiungiamo solo due cifre: il numero di partite totali in maglia azzurra (6) e i miliardi spesi per acquistarlo dall’Independiente (7.5). Il sogno di Calderon al Napoli è costato 1250 milioni di lire a partita. Grazie, comunque.
Cominciare da qui, da questo video, vuol dire spiegare in un attimo cosa sia stato Emilson Sanchez Cribari durante la sua esperienza napoletana. Se poi ci aggiungiamo un agente che, intervistato in radio il giorno 8 novembre 2010, dichiara testuale «Emilson non è un pacco», ecco allora il racconto di un rapporto nato male fin dall’inizio.
Cribari giunge a Napoli con attaccata sulle spalle una striscia adesiva la dicitura “ripiego”. Arriva dalla Lazio, è costato 500mila euro, avrebbe anche giocato la Champions un paio di stagioni prima, ma è un calciatore in parabola discendente: l’ultima metà stagione l’ha vissuta in prestito a Siena, dov’è retrocesso con pienissimo merito. È stato acquistato per fungere da alternativa a Paolo Cannavaro come centrale, ma può giostrare anche al posto di Campagnaro o Aronica ai lati del capitano. La prima partita a Cesena, poi presenze sporadiche sparse. In realtà, Cribari porterebbe anche bene al Napoli di Mazzarri: nelle altre otto partite di campionato in cui scende in campo, gli azzurri mettono insieme sei vittorie, un pari e una sconfitta. I due risultati negativi arrivano a campionato praticamente finito, in Palermo-Napoli 2-1 e Juventus-Napoli 2-2.
Il vero luogo di Cribari è l’Europa League. Tre partite da titolare, due nel gironcino contro Steaua e Utrecht e il sedicesimo di andata col Villarreal. L’errore con cui abbiamo aperto il capitoletto a lui dedicato, ma anche un autogol dopo nemmeno un minuto di gioco nella gara in Romania contro la Steaua. Il resto di un rendimento comunque anonimo scolora di fronte a questi episodi sfortunati, che fanno ricordare Cribari come un calciatore abbastanza “dimenticabile” dalla tifoseria. Un sentimento che non è corrisposto, evidentemente: in un’intervista a fine stagione, col contratto già scaduto e non rinnovato dalla società, il brasiliano racconta di come la sua stagione al Napoli sia stata «fantastica» e di come si sia sentito «orgoglioso di aver fatto parte di un grande gruppo». Cribari è uno che si accontenta di poco.
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