La legge australiana consente al Ministro di cacciarlo quando gli pare. Magari non lo farà, ma il danno d’immagine è incalcolabile
Se davvero fosse lui quello sfilato via in un suv bianco mentre i suoi tifosi d’accapigliavano con la polizia australiana, ora Djokovic è nascosto in una località segreta, a Melbourne. E si appresta a vivere una notte da uomo libero, forse – chissà – anche l’ultima. O la prima di questa trasferta dell’assurdo agli Australian Open.
Il numero uno del tennis mondiale si trova al centro d’un circo ipnotico, governato dal nonsense: da leader tecnico dello sport più individuale e individualista a testimonial mondiale dei no-vax (peraltro della sua frangia più insopportabile, quella che lamenta vessazioni indicibili mentre la gente muore a milioni negli ospedali) per questioni politiche, burocratiche e procedurali. Suo padre l’ha paragonato a Gesù Cristo, in un eccesso di zelo. Il danno d’immagine personale è incalcolabile, e stranamente non calcolato preventivamente dal suo entourage.
Per tirare le fila di una situazione ben oltre il paradossale: Djokovic è sbarcato a Melbourne da non vaccinato, grazie ad un’esenzione garantitagli a causa di una positività (tenuta nascosta) durata appena 5 giorni, dal tampone positivo del 16 dicembre a quello negativo del 22. Lo hanno interrogato, e lui ha risposta: il transcript della chiacchierata coi funzionari alla frontiera pare il copione di Non ci resta che piangere (“Chi siete? Che virus portate? Un fiorino!”). Gli hanno ritirato il visto e lo hanno sistemato in stato di fermo, come “irregolare”, in un hotel che ospita sconosciuti nelle sue stesse condizioni dimenticati per anni senza clamore alcuno. Sulla sua fama in Australia si combatte una parallela battaglia elettorale tra governo statale di Victoria e quello federale.
La notte italiana è trascorsa appesi ad uno streaming traballante, mentre un giudice federale cercava di dirimere la questione. Fino a giungere ad una sentenza “all’italiana”: Djokovic è libero di andare, per un vizio procedurale. Secondo la corte avrebbero dovuto garantirgli almeno una mezzoretta in più per cercare di convincere le autorità di frontiera a farlo passare. Una appiglio che nemmeno il Tribunale di Buonabitacolo (se ne esiste uno). A questo punto, nel clamore generale, il governo s’è risentito. E poiché la legge australiana consente, in soldoni, al Ministro dell’Immigrazione di calciare via a pedate chiunque a suo piacimento, quando gli pare, la questione resta in piedi. Il portavoce del Ministro ha fatto sapere che ci stanno riflettendo: la pedata potrebbe non arrivare mai, o all’improvviso. Dipende dalla qualità del sonno del Ministro.
Al netto della risoluzione della controversia – Djokovic danza ancora tra la partecipazione ad uno Slam e un “ban” di tre anni – resta agli atti una figuraccia per tutto il sistema. Alimentata dalle ovvie conseguenze d’un comportamento quanto meno irresponsabile di un mito assoluto dello sport mondiale: nei giorni della sua positività, ormai dichiarata da documenti ufficiali, Djokovic se ne andava in giro come nulla fosse, facendosi fotografare per l’Equipe in mezzo ai bambini, senza mascherina. Se le date son quelle – si chiede il quotidiano francese – perché Djokovic non ha preso alcuna precauzione? E se lo chiede praticamente tutta la grande stampa internazionale, dalla BBC alla CNN, tutti a ripercorrere le tappe delle sue apparizioni pubbliche col Covid addosso incurante della altrui salute.
In questa ultima settimana si sono accumulati online centinaia di editoriali delle più influenti penne del mondo che di fatto hanno stropicciato la già lisa reputazione di Djokovic. Resta sullo sfondo una domanda che lo stesso giudice che ha sentenziato in suo favore ha posto pubblicamente durante l’udienza: “Che altro avrebbe potuto fare di più quest’uomo?”. La risposta è lì, basterebbe riesumare il senso del ridicolo: vaccinarsi. Vaccinarsi e basta.