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Da Granada a Barcellona: in un anno Spalletti ha dato un’identità al Napoli

Al Camp Nou nel primo tempo si è visto un Napoli ben studiato, in grado di disinnescare gli avversari. Bisogna lavorare affinché qualità e l’intensità durino di più

Da Granada a Barcellona: in un anno Spalletti ha dato un’identità al Napoli
Db Barcellona (Spagna) 17/02/2022 - Europa League / Barcellona-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport Nella foto: Victor Osimhen

Cos’è diventato il Napoli

Barcellona-Napoli 1-1 è una partita perfetta per capire cos’è diventato il Napoli grazie al lavoro di Luciano Spalletti. O, quantomeno, per provare a farlo. Stiamo parlando di tattica calcistica, di meccanismi e atteggiamenti. Di cose che succedono in campo. Attenzione, è bene chiarirlo: non sono tutte necessariamente positive, perché anche il Napoli di Spalletti ha dei problemi, a volte è inefficace, a volte si spegne.

Ma, ed è questa la differenza rispetto al passato, il Napoli è una squadra che va a Venezia e ha un piano, gioca contro l’Inter e ha un piano, affronta il Barcellona al Camp Nou e ha un piano. A volte è un piano similare, a volte è un piano diverso, a volte è un piano che funziona e a volte è intermittente. Ma c’è un lavoro, chiaro ed evidente, che permette alla squadra di essere credibile – e quindi di porsi con credibilità – in qualsiasi condizione. Contro qualsiasi avversario, a prescindere dalle assenze. Anzi, i cambiamenti di contesto – quelli interno e quelli esterni – sono proprio il carburante che ha permesso e permette a Spalletti di sperimentare nuove soluzioni.

Anche a Barcellona è andata così. Il Napoli, del resto, non aveva ancora affrontato una squadra come quella di Xavi, così rigida, così scolastica nell’applicazione di certi principi di gioco. Dei suoi principi di gioco. Spalletti lo sapeva, e ha costruito un piano partita in grado di disinnescare o comunque contenere l’avversario. E poi di colpirlo. Tutto questo si è visto chiaramente nel primo tempo, quando tutte le idee del tecnico toscano sono state perfettamente lette e metabolizzate e messe in pratica dai suoi giocatori, in virtù di una buonissima condizione fisica e mentale. Vediamo quali sono state queste scelte.

In alto, il 4-2-3-1 del Napoli in fase di possesso palla; sopra, invece, il 4-4-2 in fase difensiva.

Cominciamo dalle spaziature in campo: come si vede chiaramente dagli screen sopra, il Napoli si è disposto con il suo classico 4-2-3-1 fluido in fase di possesso, mentre in fase passiva i giocatori azzurri (bianchi) si schieravano con un 4-4-2 piuttosto lineare. Andando oltre lo schema, i frame in alto mostrano anche qual è stato l’atteggiamento della squadra di Spalletti con il Barcellona in possesso di palla, almeno nel primo tempo: linea difensiva alta quando gli azulgrana iniziavano l’azione, rinculo in difesa quando la squadra di Xavi riusciva a superare la prima linea di pressione.

È qui che c’è una prima e importante differenza con il passato: nell’idea di Gattuso, come spiega in maniera perfetta questo articolo pubblicato su Ultimo Uomo, il Napoli doveva essere «una squadra che riaggrediva molto ma pressava poco. Ovvero: quando non detenevano il pallone, i giocatori di Gattuso si chiudevano a protezione dell’area di rigore, aspettando l’errore dell’avversario o la fine dell’azione».

Il Napoli di oggi

Ora il Napoli pensa e si muove in maniera diversa, e si è visto chiaramente anche contro il Barcellona: i giocatori di Xavi, come detto in apertura, sono mentalizzati e allenati per uscire sempre con il fraseggio, eppure il Napoli visto nel primo tempo aveva tutti gli strumenti – il baricentro alto, la consapevolezza, quindi la sfrontatezza – per potersi alzare in blocco e andare a contrastarli nella loro metà campo. Allo stesso modo, il dinamismo di tutti i calciatori scelti da Spalletti permetteva loro di rientrare e di difendersi – ora sì – con blocchi bassi, a presidio degli spazi. Su Adama Traoré, per esempio, il raddoppio di Insigne – a supporto di Juan Jesus, che ha giocato in posizione a dir poco prudente, per non dire bloccata – era sistematico. E ha funzionato benissimo.

Nel primo screen in alto, la linea difensiva del Napoli all’altezza del centrocampo; negli altri due frame, vediamo il Napoli che rincula dopo che il Barcellona è riuscito a superare la prima linea di pressione; sopra, infine, c’è il raddoppio sistematico di Insigne per aiutare Juan Jesus con Adama Traoré.

Questa capacità di muoversi continuamente a fisarmonica nasce da – e si alimenta con – un grande lavoro fatto per snellire la fase di possesso palla. Come detto anche all’inizio, il Napoli di Spalletti ha sempre un piano per mettere in difficoltà i suoi avversari. Per stressare il sistema difensivo che si trova a fronteggiare. A Barcellona, la scelta è stata quella di allargare il più possibile il campo. Non a caso, viene da dire, addirittura quattro azioni su cinque della squadra di Spalletti – fonte Whoscored – sono state costruite sulle corsie laterali. Esattamente come il gol di Zielinski.

Un’azione bellissima

Proprio dall’azione del gol di Zielinski si vede perché Spalletti abbia insistito sull’ampiezza: il Barcellona, per sua natura storica, è una squadra che difende in avanti, pressando alto; per attuare questa strategia, è necessario che le distanze siano corte, che i reparti siano compatti, vicinissimi. Un avversario che allarga il campo, dunque, finisce per slabbrare queste distanze. Per creare scompensi. Nel caso del gol, la ricezione di Elmas – che si trova praticamente sulla linea laterale – “chiama” il pressing di tre giocatori, quindi apre lo spazio per l’avanzata di Zielinski; il successivo uno-due fa collassare tutto il sistema, costringendo Jordi Alba a una scivolata disperata; Elmas, però, ha la furbizia e la sensibilità di tocco per evitare il terzino del Barça, e la visione per servire Zielinski. Che realizza un gol molto tattico, oltre che molto bello.

Qualcuno dirà: anche il Napoli di Gattuso risaliva il campo utilizzando molto (se non soprattutto) le fasce laterali come sfogo dopo la costruzione dal basso. Assolutamente vero. Ma è vero pure che la costruzione dal basso di Gattuso era molto più lenta e quindi meno diretta rispetto a quella del Napoli di Spalletti. E quindi gli esterni offensivi facevano non ricevevano mai, o quasi, passaggi in situazione dinamica come quello che ha messo in moto Elmas.

Ora il Napoli è una squadra che continua a costruire dal basso, che a volte esaspera questo concetto – è successo anche a Barcellona: in diverse occasioni Meret, Fabián Ruiz e Insigne si sono fatti beffare dal pressing avversario. Dopo i primi fraseggi, però, la squadra azzurra sa e prova a esplorare le tracce verticali. Non va a chiudersi sulla fascia in attesa di uno scambio volante, di un gioco a due. Si appoggia su Osimhem, o su Fabián Ruiz e Zielinski, per superare la prima linea di pressione avversaria.

Il bel Napoli del primo tempo

Questo quadruplo atteggiamento tattico (difesa aggressiva o bassa, possesso orizzontale o verticale) ha finito per limitare il Barça. Non l’ha inibito del tutto, perché in ogni caso parliamo di una squadra piena di giocatori di qualità, che quindi ha sempre la possibilità di costruire grandi azioni, al di là dell’efficacia del sistema difensivo avversario. I numeri del primo tempo, però, mostrano che le scelte iniziali di Spalletti hanno funzionato: il Barcellona ha anche tirato di più rispetto al Napoli (8 conclusioni a 3), ma le uniche davvero pericolose sono nate da errori gratuiti dei giocatori azzurri, per esempio la palla persa dopo pochi minuti da Di Lorenzo (tiro di Pedri finito alto) oppure il mancato intercetto in scivolata di Rrahmani, pochi istanti prima del gol di Zielinski.

Ora spieghiamo anche questa

Proprio in questa sequenza si vede come funziona il dispositivo difensivo aggressivo del Napoli: i difensori azzurri stanno molto alti e così tolgono la profondità al Barcellona, che deve cercare un passaggio e un taglio dentro ad alto coefficiente di difficoltà per superare due linee di pressione. Rrahmani qui è posizionato anche bene, ma non riesce ad arpionare il pallone in scivolata – errore tecnico, non tattico. È così che Ferrán Torres arriva al tiro a porta quasi spalancata. Usiamo la parola quasi perché nel frattempo Koulibaly e Juan Jesus hanno chiuso, per quanto possibile, lo spazio di tiro.

Fabián

Un’altra chiave tattica interessante del primo tempo è stato il cambiamento (repentino, immediato) nel gioco di Fabián Ruiz al variare del contesto. La staffetta obbligata tra Lobotka e Anguissa ha restituito a Fabián un ruolo centrale nella costruzione del gioco, il Napoli ha ricominciato ad avere un regista che si muove in uno spazio molto più ampio rispetto a quanto fa Lobotka, che quindi fa regia a tutto campo. Questo perché Anguissa, schierato accanto a lui nel doble pivote di centrocampo, calamita e pulisce tutti i palloni, dandogli grande libertà di movimento. Ne avevamo parlato anche a inizio stagione, e ora dobbiamo riparlarne. Perché a Barcellona abbiamo visto un Fabián Ruiz dominante e in grado di ricevere e lavorare la palla in ogni zona del campo, il modo perfetto per dare il via alle azioni offensive.

Tutti i 48 palloni giocati da Fabián Ruiz nel primo tempo di Barcellona-Napoli: se questo è un regista

Con e grazie a un calciatore del genere, sempre facendo riferimento  al solo primo tempo, il Napoli a Barcellona non ha avuto problemi a lasciare il possesso palla in mano agli avversari (percentuale grezza del 61%). Come abbiamo visto sopra, la difesa aveva tutte le armi per poter assorbire bene il gioco del Barcellona, per il resto ci ha pensato Fabián: con i suoi 48 palloni giocati (quota record tra tutti i calciatori in campo, a parte Eric García e Jordi Alba) e la sua accuratezza nei passaggi al 90%, ha condotto il Napoli ad aggirare spessissimo il pressing della squadra di Xavi, ad addormentarne un po’ il ritmo, addirittura a rivaleggiare con il Barcellona, al Camp Nou, per sofisticatezza dell’uscita da dietro.

La ripresa

Tutto quanto di buono visto nel primo tempo è un po’ svanito nella ripresa. Spalletti, citando la gara di Reggio Emilia contro il Sassuolo, un’altra partita in cui la sua squadra ha commesso lo stesso errore, ha detto che «il Napoli si è abbassato troppo». È vero, ovviamente. Ma vanno riconosciuti anche dei meriti al Barcellona: pur alzando la percentuale grezza di possesso (dal 61% al 72%), gli azulgrana hanno mantenuto inalterata la precisione negli appoggi (49%), un segnale chiaro della volontà di alzare il ritmo ma anche la qualità del gioco.

Il Napoli probabilmente ha pagato anche un calo fisico, ma non è più riuscito a ribattere colpo su colpo alle azioni degli uomini di Xavi. Il paradosso è che la rete del pareggio è arrivata su un rigore causato da un’azione di Adama Traoré sul duo Insigne-Juan Jesus. Anche in quel caso, il raddoppio di marcatura aveva costretto l’ex esterno del Wolverhampton a forzare il cross.

In alto, tutti i palloni giocati dal Barcellona nella ripresa (la squadra azulgrana, nel campetto in questione, attacca da sinistra a destra); in mezzo, i palloni giocati dal Napoli, sempre nella ripresa; sopra, infine, un frame della fase difensiva del Napoli, ancora nella ripresa.

Come si vede chiaramente da questi campetti dei tocchi e dal frame, la partita è cambiata in maniera netta. Anzi, radicale. La pressione del Barcellona si è alzata, la tecnica in velocità dei giocatori di Xavi ha fatto la differenza, esattamente come la maggiore fisicità dell’Inter pochi giorni fa. Allo stesso modo, però, il Napoli non ha ceduto. Ha retto, anche se però stavolta ha concesso molte più occasioni rispetto alla gara contro i nerazzurri: 13 tiri complessivi nei secondi 45′ di gioco, di cui 4 nello specchio (ben) difeso da Meret.

A queste conclusioni vanno aggiunti, non solo per dovere di cronaca, anche i tentativi sbagliati di pochissimo da Ferrán Torres e da Luuk de Jong. Entrambi i tiri hanno messo paura a Meret, anche perché frutto di belle azioni in velocità (nel caso del tiro di Ferrán) o di una splendida intuizione acrobatica (la rovesciata di De Jong, ovviamente).

Considerando la forza dell’avversario, simile a quella dell’Inter, a cui vanno aggiunti il surplus del Camp Nou pieno e di un rigore che ha cambiato l’inerzia del match, il risultato ottenuto dal Napoli non è da disprezzare. Il livello del gruppo di Spalletti è questo, stiamo parlando di una squadra di media borghesia europea che – più o meno come il Barcellona, o come l’Inter – non andrebbe molto oltre un ottavo di finale di Champions. E che perciò potrebbe anche fare strada in Europa League – e giocarsi la vittoria del campionato italiano fino all’ultima giornata.

Conclusioni

Come detto sopra, il fatto che oggi il Napoli abbia raggiunto (di nuovo) questo livello, senza aver cambiato praticamente la sua rosa, si deve al lavoro del suo allenatore. Il fatto che si sia visto al Camp Nou, con una squadra che non è forte come in passato ma che comunque si chiama Barcellona, e non Granada, ha un significato importante. Anche perché è evidente che ci siano dei margini di miglioramento. In questo momento il Napoli ha ancora poche possibilità di variare lo spartito pescando in panchina, quindi è difficile chiedere di più a questi calciatori dal punto di vista fisico; al tempo stesso, però, è auspicabile pensare che l’intensità e la qualità viste nel primo tempo del Camp Nou, possano essere estese a tre quarti di partita con l’ultimo sprint in quanto a condizione atletica.

E poi è anche una questione di avversari: considerando i calendari di Serie A ed Europa League, il Napoli affronterà poche squadre come Inter e Barça, capaci di essergli superiore in un certo aspetto del gioco. E quindi la solidità e la maturità e la personalità mostrate in queste due partite, in queste due partite non perse, sono dei segnali piuttosto positivi. In vista del match di ritorno con il Barça. In vista delle ultime partite di campionato.

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