Report della seduta pomeridiana dal ritiro di Dimaro. Il tecnico toscano allena, e questa è la sua forza. Il resto viene dopo.
Dimaro. Una seduta lunga, un’ora e mezza tra promesse di diluvio non mantenute, temperatura che si abbassa piano piano. E tanto, tanto calcio. Si comincia con una non-notizia e una sorpresa. Tonelli, biondo, che va a chiudersi in palestra. Poi, ecco Vlad Chiriches. Il primo rientrante dell’estate internazionale del Napoli. Subito dopo, subito una corsetta intorno al campo con un preparatore. Alza la mano, saluta il pubblico che l’applaude. Il primo figliuol prodigo, il pubblico spera di una lunga serie.
Riscaldamento: col pallone, sempre. Paletti delimitanti il campo, 12. Si lavora sul possesso palla, i calciatori ruotano intorno al campo immaginario, camminano e scambiano palla. Un percorso 2D, come nei videogiochi anni Ottanta. Pochi minuti e il ritmo aumenta: si va a due tocchi al massimo. E si corre.
Mentre l’esercizio prosegue, e ci si alterna tra senso orario e antiorario, viene fuori un sole tipicamente invernale, di quelli che riconosci sempre insieme al freddo. I colori delle maglie indossate da calciatori e preparatori si illuminano. Bianco, rosso, persino il nero della divisa da allenamento. Il sole aumenta ulteriormente l’intensità, ora si va solo di prima. Ci si allena nella misura del tocco, nella precisione del movimento, nei meccanismi di scambio posizione. I gradoni di Zeman sono roba persa nel tempo. Sarri allena anche il fisico, ma sempre col pallone.
I paletti, gialli e rossi, servono anche per il secondo esercizio. Che si svolge in un’atmosfera stranissima, con le nuvole bassissime appena sopra le cime degli alberi dietro la porta alla destra della tribuna stampa. Per rendere l’idea, la pubblicità del caffè in paradiso di Bonolis, Laurenti e oggi Brignano e Solenghi. La ricorderete sicuramente. Ecco, così. Comunque, ancora corsa palla al piede. Una fila dietro un paletto, il primo del gruppetto corre fino a metà strada e poi passa la sfera al capofila di fronte. Tutto molto veloce, si corre molto. Si allena il controllo in situazioni rapide.
Finisce questo esercizio, vanno via i paletti e si alza il drone. E quando si alza il drone, vuol dire tattica. Quattro preparatori schierati in linea giocano (male, volutamente) la palla, di fronte ci sono due squadre schierate 4-3-3 verso la stessa porta. Una in nero, una coi fratini gialli. Svolgono il lavoro in alternanza. Si fa lo stesso esercizio visto e rivisto in questi primi giorni di ritiro. Pressing, palla recuperata e giocata subito veloce, bassa, in verticale. Perno sull’attaccante, sempre, con una palla che parte dal centromediano/regista (Jorginho o Valdifiori nei due schieramenti); inserimenti da dietro dei centrocampisti, meno dei terzini. Stavolta, la caratteristica principale dei movimenti ad attaccare l’area è l’ampiezza. Le mezzali vanno sulle sulle fasce, al centro ci sono i tre uomini offensivi che restano. Il pallone, quasi sempre, viene messo in rete all’altezza del secondo palo. Il primo calciatore che aggredisce l’area sul cross dall’esterno, infatti, lascia scorrere. Perché sa che c’è un compagno dietro, pronto. È quello che Sarri sta chiedendo dal primo giorno.
Quando il ritmo si alza, e il pressing diventa asfissiante e si costringe il portiere avversario a rilanciare lungo, la dinamica resta uguale ma cambia il numero di calciatori coinvolti. Anche i terzini, in questo caso, vengono a sostegno. L’automatismo prevede che, in questo caso, il mediano del lato forte resti più in copertura alle spalle dell’esterno difensivo. A fine esercizio, Don Maurizio fa catechismo. Spiega a tutti quello che vuole vedere, quello che vuole che facciano. Dopo, solo dopo, si riparte. E su ogni cross, anche quello del terzino, gli uomini in area di rigore sono sempre tre. Stretti al centro, si dividono lo spazio orizzontale. Il portiere c’è, ma serve a poco. La seconda parte dell’esercizio coinvolge di più i difensori. Recupero di palla alto, da parte loro, sulla linea di centrocampo. I due Napoli sono schierati 4-5-1 in fase di non possesso, si lavora sul pressing della difesa e sulla solita uscita palla al piede, in bello stile. In avanti, il solito di questi giorni.
Dopo, partitella. Due tocchi, non uno di più. Segna Tutino, che in tribuna stampa qualcuno (noi del Napolista) chiama Tutinho. È un modo per prepararci a sapere se Giaccherini, ormai certo (?) prossimo acquisto azzurro, resterà Giaccherinho anche nella sua esperienza azzurra. Il brand che Caressa ha lanciato agli Europei continuerà anche per Napoli-Empoli? Chissà. Se l’è chiesto anche Massimiliano Gallo in un pezzo scritto ieri sulle strane reazioni del tifoso del Napoli alla notizia del trasferimento del calciatore della Nazionale.
Al termine della partita, c’è un rewind. Sarri torna indietro di una mezz’oretta e fa riprovare di nuovo la fase di pressing e la ripartenza. Di nuovo le due squadre a centrocampo, verso la stessa porta. Di nuovo il lancio lungo dalla difesa avversaria e ripartenza verticale. Attaccante perno, inserimento da dietro degli esterni e conclusione verso la porta. Tante, tante volte. Su tante situazioni: palla giocata bassa dalla difesa, rimessa laterale, rimessa lunga del portiere. La squadra si sposta sul campo, da destra a sinistra, in base al lato di partenza del pallone. Uno degli ultimi momenti situazionali è un calcio d’angolo avversario. Il Napoli lavora sulla ripartenza lungo tutto il campo.
Dopo ogni azione un richiamo, un aggiustamento, un’indicazione. Con la voce, con le braccia. Oggi è rientrato il primo dei nazionali, ma la sensazione è che Sarri stia allenando questa squadra come se fosse quella che giocherà la Champions. Non sarà così, e proprio questa è la sua forza. Lui allena. Qualcuno può identificarlo come un limite. Chissà. Però, qui a Dimaro, si vedono tante promesse di calcio bello. Quello che serve, innanzitutto. Il resto verrà dopo.