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Il Napoli di Spalletti ha imparato a vincere senza dominare

L’analisi tattica. Nell’azione che porta al gol di Fabian c’è la fotografia della partita. Insigne tocca meno palloni ma è più decisivo: il tecnico lo ha liberato

Il Napoli di Spalletti ha imparato a vincere senza dominare
Roma 27/02/2022 - campionato di calcio serie A / Lazio-Napoli / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Luciano Spalletti-Maurizio Sarri

Il gol di Fabián

Per una volta, partiamo dalla fine. Dal gol che ha deciso la partita, da quello che è stato (giustamente) definito il colpo di biliardo di Fabián Ruiz. Solo che però non partiamo proprio da quel momento lì, piuttosto qualche secondo prima. Ovvero quando Rrahmani si ritrova a poter giocare in libertà un pallone ciabattato in avanti da Hysaj, e allora decide di non imitare il suo ex compagno, piuttosto di fare esattamente ciò che lui e i suoi compagni avevano cercato di fare per tutta la partita – non sempre ci sono riusciti. Ovvero: provare a muovere il pallone con qualità per manipolare la difesa della Lazio. Anche al 94esimo, la tattica e la tecnica possono funzionare. Partiamo da lì, e vediamo tutto ciò che è successo dopo, fino al colpo di biliardo di Fabián. Poi lo analizziamo.

Tutto perfetto

Come successo per tutta la partita, la Lazio – eseguendo i dettami classici di Sarri – si schiaccia dal lato in cui il Napoli tiene il possesso. Intorno a Rrahmani e Di Lorenzo (più Lobotka e Fabián, qualche metro più in là) ci sono quattro giocatori biancocelesti. Rrahmani, come detto, prova a muovere il pallone con qualità. Anzi, diciamola meglio: con un’idea. In questo caso, il centrale kosovaro è perfettamente assecondato da Elmas, bravissimo a spostarsi come dovrebbe fare sempre un sottopunta del 4-2-3-1: movimento ad accorciare i reparti e a fornire una linea di passaggio ulteriore, verticale, dalla parte in cui viaggia il pallone. La pressione della Lazio è spezzata, Elmas ha Basic nella sua zona, e può anticiparlo. Solo che il pallone è alto, non può essere stoppato e controllato. E allora deve essere aperto di testa. A destra. Su Adam Ounas.

A questo punto, l’algerino è di nuovo un po’ chiuso, perché Hysaj e Luis Alberto sono dalla sua parte. Solo che Ounas ha qualità, e vede lo spazio per servire Elmas, che nel frattempo ha saputo sfilarsi da un pigro Basic. A quel punto, il macedone ha campo da aggredire, da tagliare in diagonale – ricordate la pressione spezzata? La linea difensiva della Lazio scappa e si compatta all’indietro, e a quel punto si apre il campo per il passaggio di Elmas a Insigne. Controllo, tocco per Fabián che ha lo specchio della porta libero. Eccolo il colpo di biliardo. Solo che prima c’è tanto altro.

Il Napoli e il possesso

È un gol profondamente tattico, anche se siamo al 94esimo minuto. È la partita del Napoli condensata in pochi istanti. O meglio: è il piano-partita che Spalletti aveva ordito e pensato di attuare. Perché, come già detto in precedenza, non è che la squadra azzurra sia sempre riuscita a fare bene ciò che si era prefissa. Soprattutto nei primi minuti, che dal punto di vista dell’analisi tattica servono a chiarire che no, il Napoli non ha cambiato modulo. O meglio: che il 4-2-3-1/4-3-3 fluido visto all’Olimpico non era molto diverso da quello disegnato da Spalletti in altre partite.

Stavolta la scelta del tecnico azzurro è stata di tipo difensivo: Zielinski sottopunta è servito più che altro a schermare Lucas Leiva, il pivote del 4-3-3/4-5-1 schierato da Sarri. In fase offensiva, il Napoli ha anche capovolto il triangolo, mettendo Demme al centro tra Fabián e Zielinski, ma si è trattato di momenti sporadici. Anche perché, come detto, è stata la Lazio a gestire meglio (molto meglio) i primi minuti di gioco.

In alto, vediamo il Napoli schierato con il solito 4-4-2 difensivo, figlio diretto del 4-2-3-1, in cui Zielinski funge da schermo su Lucas Leiva. Sopra, invece, il triangolo rovesciato a centrocampo: il Napoli imposta con Demme pivote e Fabián e Zielinski mezzali di un 4-3-3.

Questo perché il Napoli, esattamente come fatto contro il Barcellona pochi giorni fa, ha cercato di giocare la partita sul palleggio. Sul ritmo basso. Sulla costruzione da dietro. Solo che però la squadra di Spalletti, se possibile, ha fatto addirittura peggio rispetto alla gara contro gli azulgrana, almeno all’inizio: nei primi dieci minuti di gioco, ha sbagliato praticamente un passaggio su 4 (percentuale di precisione del 77%), dando alla Lazio la possibilità di recuperare subito il possesso e creare i presupposti per azioni offensive di una certa pericolosità. Oltre a quelli relativi ai passaggi, anche i numeri sui tiri non mentono: 4-1 per la squadra di Sarri nel primo quarto d’ora.

In un contesto del genere, il progetto tattico del Napoli – risalire il campo chiamando il pressing della Lazio, per poi attaccare la profondità azionando Osimhen – non poteva funzionare. E poi ci sono stati anche dei problemi evidenti nei singoli: Fabián Ruiz ha sbagliato diversi appoggi e controlli piuttosto semplici, la costruzione dal basso di Demme non è mai andata oltre dei passaggi elementari, Zielinski si è perennemente nascosto tra le maglie del centrocampo avversario. Come si vede chiaramente nella mappa che vi proponiamo sotto, la squadra di Spalletti si è dovuta letteralmente rifugiare sulle fasce laterali per respirare un po’.

Il buco subito nella zona centrale, a ridosso del cerchio di centrocampo, è enorme e autoevidente

Dopo la tempesta è arrivato Elmas

Poi, però, è venuto fuori che la Lazio non è il Barcellona. E allora il Napoli, una volta assorbita la prima tempesta, ha ricominciato a macinare un possesso più continuo e di maggior qualità: la percentuale grezza al decimo minuto era del 37%, ma a fine primo tempo era risalita fino al 52%; anche la precisione negli appoggi è aumentata, fino a raggiungere quota 90% all’intervallo. Col tempo, questo nuovo equilibrio nel controllo tra le due squadre ha anche modificato la statistica dei tiri: il Napoli ne ha scoccati 5 in tutto il primo tempo, tutti però piuttosto velleitari, perché al piano di gioco di Spalletti servivano dei guizzi in più, delle giocate e dei movimenti imprevedibili. Ovvero, tutto ciò che ha assicurato Elijf Elmas non appena ha preso il posto di Piotr Zielinski.

La mappa di tutti i palloni giocati da Wlmas

Cominciamo da qui, ovvero da tutti i palloni toccati dal giocatore macedone. Si vede chiaramente come si sia sempre orientato verso destra, a supporto di Politano (poi Ounas) e Di Lorenzo. Da lì sono arrivati entrambi i gol del Napoli: il secondo l’abbiamo visto, il primo invece nasce da un recupero su costruzione dal basso della Lazio dopo un rinvio corto di Strakosha. Rinvio che, a sua volta, era scaturito da un tiro al volo di Fabián Ruiz dopo una combinazione veloce tra Elmas e Politano sulla fascia destra. Abbiamo recuperato l’intera sequenza:

Il peso enorme di Elmas

Nella prima azione, il Napoli accerchia la Lazio e poi fa viaggiare il pallone da sinistra a destra, sempre per manipolare il sistema difensivo di Sarri. Con il suo spostamento a destra, a creare un corridoio di passaggio tra le linee, Elmas manda in tilt le coperture e le scalate dei giocatori della Lazio, e permette a Politano un cross libero dalla sua fascia. Il tiro a rimorchio di Fabián è piuttosto sbilenco, ma questa è un’azione che evidenzia un cambiamento netto rispetto al primo tempo: Elmas in quella posizione ha offerto molto di più rispetto a Zielinski. Ha cambiato la partita, ben oltre l’importanza capitale avuta in occasione dei due gol.

Come succede quasi sempre, sono i numeri a confermare queste sensazioni: nella ripresa, il Napoli ha tirato il doppio rispetto alla Lazio (10-5); ha tenuto il pallone per più tempo (57%-43%) e l’ha fatto con più precisione (88%-86%). Come al solito, la capacità/possibilità di gestire il pallone, la possibilità di creare azioni con meccanismi fluidi, ha fatto la differenza. E ha permesso anche al Napoli di difendere in maniera più ordinata e quindi più sicura, più tranquilla: dei 5 tiri della Lazio, 3 sono arrivati prima del cambio Elmas-Zielinski; gli altri 2, entrambi di Pedro, sono stati scoccati negli ultimi dieci minuti di gioco. Quando l’ingresso dello spagnolo ha aggiunto un po’ di tecnica e individualità alla fase offensiva della Lazio.

Insigne

Il sottopunta Elmas che si sposta soprattutto a destra non è un caso – come quasi tutto, nel calcio. Questo meccanismo tattico è stato innescato da una tendenza che è stata chiara per tutta la partita, e che ha fatto svestire a Insigne i panni del regista offensivo. O meglio: del regista offensivo per forza. Il Napoli, infatti, ha giocato di più sulla fascia di Di Lorenzo e Politano, diventata poi anche di Elmas dopo l’ingresso del macedone: a fine partita, Whoscored ha rilevato che la squadra di Spalletti ha costruito il 43% delle manovre da quella parte. Quasi una su due.

Come abbiamo detto, questo non vuol dire che Insigne sia stato escluso dalla costruzione della manovra. Il capitano azzurro ha infatti giocato 66 palloni, più di Politano e Ounas messi insieme, ed è risultato il secondo miglior giocatore del Napoli per tiri tentati (3, con Osimhen a 5) e per dribbling riusciti (3). Poi, ovviamente, sono arrivati il gol e un assist di rara intelligenza per la marcatura in extremis di Fabián Ruiz.

Tutti i palloni giocati da Insigne. Non solo a sinistra.

Come si vede chiaramente da questa mappa, il fatto che il gioco del Napoli non sia condannato a passare da Insigne cambia anche il modo in cui lo stesso Insigne interpreta la partita. Ne avevamo parlato già dopo la vittoria colta a Venezia poche settimane fa: Spalletti ha lavorato e sta lavorando a un Napoli con Insigne e non di Insigne, una differenza sottile eppure enorme.

Una differenza che ieri sera, almeno secondo il parere di chi scrive, ha aiutato il capitano azzurro a essere determinante nei momenti topici della partita, parliamo ovviamente dei due gol: in entrambe le occasioni, Insigne è stato lucido e tranquillo, ha scelto la giocata migliore, quella più giusta, dall’alto di una padronanza tecnica – quella non gli è mai mancata – e di una calma che, in lui, si è manifestata quasi sempre – per non dire solo – con un certo set di giocate meccaniche. Ieri, invece, è andata diversamente. Forse perché non è stato sovraccaricato di responsabilità creative e quindi ha potuto giocare la partita in maniera libera, viene da dire. Questa, però, è solo una sensazione.

Resta il fatto che un Insigne meno protagonista in tutte le fasi di gioco è risultato decisivo quando serviva di più. Ovvero quando ha confezionato il gol del vantaggio e poi quando ha appoggiato un pallone perfetto per il tiro finale di Fabián Ruiz. Anche nel primo tempo, in realtà, ha mostrato degli ottimi spunti, ha avuto delle buone intuizioni – lo stop a tornare indietro che gli ha permesso di superare Marusic prima di un tentativo di tiro a giro, un bell’inserimento dalla parte destra dell’area di rigore con cross morbido su cui Osimhen è stato anticipato.

Una delle giocate più belle della partita. E anche il tiro non era male

Conclusioni

Il Napoli di Spalletti non è guarito a Roma, se si era ammalato contro Cagliari o Barcellona. La differenza tra queste partite sta nel fatto che il piano partita scelto dal tecnico toscano ha avuto successo, si è rivelato efficace, o comunque è andata così dal momento in cui un cambio indovinato – Elmas per Zielinski – ha permesso di correggere un difetto iiniziale. Di elevare le prestazioni di tutti gli altri giocatori in campo. Come abbiamo visto e detto in apertura, il gol realizzato a tempo scaduto da Fabián Ruiz è tutt’altro che casuale, è molto tattico. Questo non vuol dire automaticamente che la vittoria del Napoli sia del tutto meritata – tra poco parleremo anche di questo concetto – ma resta il fatto che l’episodio decisivo sia stata un’azione non del tutto estemporanea. Come, per esempio, il gol del pareggio di Pedro.

Il concetto di vittoria meritata, con questo Napoli e in questo momento della stagione, deve un po’ essere rivisto. E rivalutato. Perché la squadra di Spalletti, similarmente all’Inter e al Milan, sta vivendo un periodo di scarsa brillantezza tecnica e di assenze pesanti. E allora è (più) difficile che domini le partite che gioca, soprattutto quando gli avversari sono di qualità. Il fatto che una partita non venga dominata, però, non vuol dire che non possa essere vinta. Come visto e come detto, la prestazione tattica contro la Lazio è stata molto più soddisfacente rispetto alle ultime uscite. E quindi l’idea di dover controllare e gestire le gare, tutte le gare, di doverlo fare sempre in maniera assoluta, lascia il tempo che trova.

E poi ormai il Napoli ha quest’essenza di squadra liquida o comunque non identitaria, come auspicavamo da tempo nell’ambito di questa rubrica. Il lavoro di Spalletti si fonda sull’esaltazione di qualità individuali all’interno di un sistema sempre diverso. Il fatto che questo approccio abbia portato la squadra azzurra in vetta alla classifica, o comunque a meno uno dall’Inter in caso di vittoria nerazzurra contro il Bologna nella gara da recuperare, ha un significato molto più ampio e profondo dell’idea per cui dominare le partite sia necessario per vincere. Magari dominare aiuta a vincere, certo. Ma si possono fare risultati anche interpretando bene i momenti delle partite. Il Napoli di Spalletti sta lì a dimostrarlo.

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