Sono i momenti che spiegano la magia del calcio. Luciano ci rappresentava. Aveva gli occhi lucidi, come noi
Ci sono momenti di una partita che ti restano impressi nella memoria. E non sono per forza rappresentati dai gol. Più spesso, si tratta del ricordo delle persone che erano con noi, delle emozioni provate, l’esultanza di un calciatore o di un allenatore, un sentimento corale di gioia, un’esplosione di felicità.
Trapani questa mattina paragonava la gioia provata ieri contro la Lazio a quella di quando Diawara si lanciò nella sua folle corsa dopo il gol segnato al Chievo, quattro anni fa. Era un bambino lui e lo eravamo noi, come lo siamo anche oggi. Ha pienamente ragione. Possiamo tranquillamente dire che quella di ieri sera resterà nella memoria di tutti noi tifosi del Napoli, come del resto molte delle partite giocate contro la Lazio (da quel 4-3 di 11 anni fa al 4-0 della partita di andata) per quei minuti finali, dal 94′ in poi.
Ounas passa palla ad Elmas. Elmas la passa ad Insigne, che intravede Fabian che arriva: sa che quella è una palla perfetta per lui. E Fabian non sbaglia. A quel punto il mondo si ferma.
E’ stato uno di quegli istanti che andrebbero immortalati da uno scatto, un dipinto, un’aria classica, un’opera d’arte. Perché tale è ciò che resta scolpito nella memoria.
In quell’urlo di cattiveria di Fabian c’è un attimo che apre ad un futuro diverso. Niente bestemmie per l’ennesimo pareggio, per l’ennesima occasione persa. La vittoria, la vetta, la fame e la cattiveria. Quell’urlo. Dio quante cose possono essere racchiuse in un attimo, quante cose in quell’urlo. Come un tappo che esplode. Tutto quello che avevamo dentro, l’ansia per le bollette da pagare, quella per la settimana da affrontare, persino la guerra. Tutto scomparso in una frazione di secondo. Fabian libera tutti. Un tappo che esplode, che frantuma la pressione che premeva sulle spalle e che ricorda quant’è bello essere vivi, vivere per ricordare momenti come questo.
Le immagini scorrono in loop. Fabian che subito dopo il gol si toglie la maglietta come se si strappasse l’anima che ci ha messo per realizzarlo, quella che tutta la squadra ha mostrato di possedere nell’attacco forsennato dopo il gol di Pedro. Inizia a correre come se non ci fosse un domani. Tutti iniziano a correre. Anche noi, nei nostri salotti, avremmo iniziato a correre se solo avessimo avuto lo spazio per farlo. La corsa di Fabian come quella di Diawara.
Dalla panchina un’esplosione. Una schiera di uomini e ragazzi impazziti che corrono verso chi può comprendere come si sentono. Qualcuno con la pettorina del Napoli, qualche altro con il piumino di ordinanza, su tutti un uomo in tuta e scarpe da calcetto che corre insieme ai suoi ragazzi, quelli di cui aveva garantito, prima del match, impegno massimo. Chissà quando è scattato per volare insieme al suo Napoli! Le telecamere lo inquadrano quando è in campo e corre, poi di nuovo quando è quasi sotto la curva degli ospiti. Rrahmani lo intercetta per un attimo, lo tira per la manica, per la spalla, cerca di fermarlo, vorrebbe abbracciarlo, ma Spalletti è incontenibile. Non c’è niente, nessuno, che possa fermarlo. Arriva sotto la curva ed è come se non volesse nessuno davanti, come se dicesse: prendetemi, fate di me quello che volete, senza filtri, sono uno di voi.
I commentatori intanto urlano: “Deliriooooooo”. Siamo tutti in delirio.
Spalletti ride, finalmente, ride come se avesse vinto la coppa del mondo, come se avesse vinto il suo scudetto. Ride perché la sua fiducia è stata ripagata. Perché non c’è niente che avrebbe desiderato di più. Come noi.
Nella mischia di anime piene di felicità ci sono Ospina e Meret che si abbracciano: al diavolo l’alternanza tra i pali, chissenefrega. Di Lorenzo che sbraccia verso il cielo come fosse un assatanato. Acchiappa le mani di chi si sbraccia dall’altro lato della barricata, perché non c’è niente altro da fare che urlare e sbracciare per condividere la felicità. Insigne dà il cinque a tutti, mostra il pugno alle telecamere, sul viso ha un’espressione di libertà, come se si fosse svuotato. In campo non si capisce niente. Come nei nostri salotti. Vorremmo che quell’attimo non finisse mai.
Elmas fa petto contro petto con tutti quelli che incontra. Urla, sa che c’è anche una parte di lui là dentro, in quel gol che ha regalato tanto. Petagna abbraccia Fabian, avvinghiandogli il collo. Le telecamere inquadrano Ospina che batte le mani e ride, ride anche lui come fosse un bambino.
Si ricomincia a giocare, ma dura pochissimo. Mentre tutti urliamo “fischia! fischia!”. E l’arbitro ascolta, fischia. Fabian è il primo a stramazzare al suolo, in ginocchio. Tutti noi siamo in ginocchio nei nostri salotti come lui. Lobotka lo abbraccia, gli si avvicina Juan Jesus. Mentre Spalletti esce dal campo facendosi il segno della croce, una, due volte. Le telecamere inquadrano pure Hysaj: chissà se ha rimpianto la gioia che si prova sotto il Vesuvio.
Ancora le immagini di Spalletti. È provato, distrutto, prostrato. Si asciuga il sudore, a tratti gli occhi. Ha gli occhi lucidi. Come noi. Ospina viene abbracciato da tutti. Ospina abbraccia Fabian. Tutti noi ci abbracciamo. Non lasciamoci mai più.