A Il Messaggero: «I presidenti sono maschere della commedia. Ho un debole per Lotito: non si capisce un cazzo quando parla. Punirei i passaggi all’indietro: è calcio da impiegati»
Sul Messaggero una lunga intervista a Roberto D’Agostino, inventore di Dagospia. Tifosissimo della Roma, che definisce una fede.
«Sono tifoso da sempre della Roma. Per me la Roma è una fede: esiste e basta. La Roma può giocare male e negli ultimi tempi capita spesso, ma chissenefrega. La Roma è un fatto religioso. Il praticante non ha la prova dell’esistenza di Dio, crede e basta».
Da ragazzo ha giocato a calcio.
«Ai tempi dell’oratorio. Non ero veloce e per questo mi piazzavano in difesa. Il calcio è lo sport più popolare perché contiene in profondità il senso del gioco, comune in tutte le civiltà. Dalla Grecia in poi funziona così».
Definisce lo stadio «un formidabile luogo di aggregazione», dove si dà insieme «il meglio e il peggio di noi stessi». E sul calcio:
«Il tiki-taka mi annoiava, due palle. Mi distraevo, cominciavo a smanettare sul telefonino. Mi piace la Premier, la velocità, l’attacco, la corsa fino all’ultimo secondo. Anche Guardiola in Inghilterra si è evoluto. In Italia siamo messi male, a parte l’Atalanta, unica squadra di respiro internazionale. Da noi c’è il calcio del passaggio all’indietro: io lo punirei come fallo di gioco».
Continua:
«Il modello italiano, palla indietro e difesa, poteva essere giustificato settant’anni fa, quando i nostri erano abatini. Oggi sono atleti e non possono giocare il calcio degli impiegati».
Dice di amare le storie come «i Sassuolo e i Leicester». E sulla narrazione giornalistica del calcio:
«Detestavo Caressa e il suo circolo. Bene Di Canio: laziale, fascista, “coatto”, ma con un suo stile. Capello è bravissimo: analisi sempre chiare. L’ambiente è ingessato perché tutti conoscono tutti. Adoro i duetti Bobo Vieri-Cassano. In generale chi parla di calcio deve essere anche un po’ teppista. Bisognerebbe liberare il linguaggio: non si può trattare una partita come se fosse il bilancio dello stato».
Ricorda la rubrica di calcio che aveva negli anni Novanta sulle pagine dell’Espresso.
«Un giorno arrivò una telefonata da Auckland, Nuova Zelanda, dove Luna Rossa era impegnata negli allenamenti in vista dell’America’s Cup. Mi passarono Patrizio Bertelli. Era furibondo. Mi disse che dopo aver ricevuto la visita di Gianni Agnelli, c’era stata una sfilza di guai. Io scrissi un pezzo in cui trattavo Agnelli come portasfiga. Successe un casino. Agnelli la prese malissimo. Mi tolsero la rubrica».
Sui presidenti dei club:
«Cercano consensi e popolarità. Usano il calcio per altri scopi. Sono industriali che hanno sprecato montagne di denaro nel calcio, facendo dimenticare i problemi nelle loro aziende e chiedendo allo Stato di mettere una pezza sui loro errori. Lotito mi fa ridere. Ho un debole per lui. Non si capisce un cazzo quando parla. Poi il Viperetta, ma che fine ha fatto? Sono maschere della commedia. Meglio loro che andare al cinema. Inventano frasi senza senso, sono grandiosi. Non mi spiego il fenomeno De Laurentiis. Ha riportato la squadra in alto, ma a Napoli lo odiano. C’è poi il mistero dei Friedkin. Muti».
Su Mourinho:
«A qualcuno piace il gioco, a Mourinho piace il conflitto, che “di tutte le cose è il re”, come diceva Carmelo Bene citando Eraclito. Aggiungeva: “il calcio è uno sport eroico e barbarico”. E chiudeva: “l’ultimo stadio del tifoso è il delinquente”. Frullate tutto questo e avrete lo spirito di Mourinho».
Su Totti, i cuoi problemi familiari sono stati svelati proprio da Dagospia.
«Lo sapevano tutti, ma nel giornalismo vige spesso la legge dell’omertà. Totti è stato l’ottavo re di Roma. Ai re si perdona tutto e si nascondono le magagne».
Sui calciatori:
«Il livello culturale del calciatore non è mai stato elevato. I giocatori passano spesso dai giornaletti pornografici alle donne in carne e ossa. Hanno scarse difese intellettuali e vengono sovrastati, fino alla gestione del denaro. Wanda Nara è l’esempio perfetto».
Il più grande in assoluto?
«Maradona. La rete all’Inghilterra dribblando mezza squadra fu la regina delle beffe. Maradona è stato la rivincita del proletariato contro i ricchi».