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Verdone: «Mio padre mi bocciò all’esame di Storia del cinema. Disse: “Non potevo fare differenze, Carlo”»

Al CorSera: «Non sono ipocondriaco. Sono solo un esperto che si mette a studiare la sera, ogni tanto mi chiedono un parere e ogni tanto ci azzecco»

Verdone: «Mio padre mi bocciò all’esame di Storia del cinema. Disse: “Non potevo fare differenze, Carlo”»

Sul Corriere della Sera un’intervista a Carlo Verdone. Chiede di dare un taglio alla leggenda sulla sua ipocondria.

«Basta con questa storia che sono ipocondriaco. La storia della mia ipocondria è una leggenda che va sfatata per sempre. Sono solo un esperto che si mette a studiare la sera, ogni tanto mi chiedono qualche parere e ogni tanto ci azzecco».

Racconta dei suoi genitori. Il padre era professore all’Università. Lo bocciò ad un esame.

«Storia del cinema: gli avevo pregato di non chiedermi gli espressionisti, ma Fellini e il Neorealismo. Mi chiese gli
espressionisti, ovviamente: bocciato. “Non potevo fare differenze, Carlo”, rigoroso come sempre. A cena però lo
mandai a quel paese».

La madre invece insegnava al liceo.

«Se parlo di cinema lo devo a lei che mi ha sempre incoraggiato. Peccato se ne sia andata così presto, a 59 anni, nel 1984, per una malattia neurodegenerativa. Furono quattro anni d’inferno: al mattino giravo Acqua e sapone, alla sera dovevo andare da lei in clinica, uno strazio».

Uno dei suoi più grandi successi al cinema è stato “Bianco, Rosso e Verdone”, prodotto da Sergio Leone. Al quale non piaceva Furio, il marito di Magda.

«Diceva che avrebbe fatto fallire il film e che la gente gli avrebbe voluto tagliare la testa. Poi però cambiò idea. Una sera vennero da lui a vederlo Sordi, Monica Vitti e e, chissà perché, Falcao. Alla fine Albertone si alzò e mi abbracciò: “Fatte bacià. E quel marito…”. E pure la Vitti moriva dal ridere “che capolavoro quel marito”. Leone si tranquillizzò, “avessero ragione loro”».

Gli chiedono di indicare la cosa più brutta che gli è successa negli ultimi vent’anni.

«Quando non riuscivo a camminare, per le mie anche senza cartilagini, otto anni di calvario».

 

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