Dallo scudetto al ritiro, nel giro di un’ora. Dall’ammutinamento nulla è cambiato. Nel Napoli nessuno si fida dell’altro. E la via punitiva evidenzia i limiti della presidenza
Alle 16.35 il Napoli è di fatto qualificato per la prossima Champions League con quattro giornate d’anticipo. E aritmeticamente è ancora in corsa per lo scudetto. In otto minuti, passa dal vantaggio di 2-0 a Empoli alla sconfitta per 3-2. Spalletti era già fortemente criticato nonostante la qualificazione Champions, figurarsi ora. Ma questo sembra l’ultimo dei problemi. Poco prima delle 18, il Napoli comunica ufficialmente che la squadra da martedì sarà in ritiro permanente. Come accadeva nel calcio di una volta, perfettamente ritratto in un film d’epoca con Alberto Sordi: “Il presidente del Borgorosso Football Club”. Ahinoi per certi versi il Napoli proprio non riesce a uscire da quella dimensione.
Una delle definizioni più azzeccate in politica, è che in politica il vuoto non esiste. E che se un problema non lo affronti, si ripresenta più o meno nella stessa forma. È quel che sta accadendo al Napoli. La decisione di portare in ritiro la squadra che fino a dieci minuti prima era in lotta per lo scudetto, lascia emergere in maniera disarmante che non c’è alcuna fiducia tra la società, la squadra e l’allenatore. Che i due anni e mezzo seguiti all’ammutinamento, altro non sono stati che una riverniciatura.
Non è la prima volta che De Laurentiis manda il Napoli in ritiro. Decisioni che hanno sempre assecondato vistosi segnali di turbolenze ambientali. Il primo ritiro eclatante fu quello con Rafa Benitez oggi riabilitato ma all’epoca oggetto di una durissima contestazione e di un malumore continuo. Il Napoli pareggiò 1-1 in casa con la Lazio, in Coppa Italia e venne eliminato in semifinale. Negli spogliatoi, De Laurentiis annunciò il ritiro e pronunciò il discorso della città rapace con riferimenti più o meno ambigui alla vita notturna di Higuain. Il ritiro acquietò la piazza. Il pubblico che segue il calcio, soprattutto in Italia, è strenuo sostenitore del proverbio: “mazza e panell fanno i figli bell”. I cori da stadio sono sempre “andate a lavorare” e via dicendo. Il ritiro regala ai tifosi quella sensazione di privazione cui – secondo loro – giustamente devono essere sottoposti i milionari che tirano calci a un pallone. Come a dire: “guadagni tutti quei soldi e allora beccati le frustate”.
Quel Napoli in ritiro sconfisse la Fiorentina al San Paolo e poi demolì il Wolfsburg 4-1 in Germania: una delle partite più belle dell’era De Laurentiis. Benitez riuscì a ottenere la “liberazione”.
Anni dopo, con un altro tecnico considerato libertario (peccato quasi mortale per queste latitudini), arrivò il ritiro che avrebbe segnato il futuro del club. Ovviamente parliamo di Ancelotti e della decisione presidenziale che arrivò dopo la sconfitta a Roma. Anche allora l’ambiente rumoreggiava e non poco. Ancelotti era considerato inadatto (sigh) alla piazza di Napoli. Accadde quello che tutti sappiamo. L’allenatore ufficialmente manifestò la propria contrarietà. E dopo l’1-1 col Salisburgo i giocatori si rifiutarono di tornare a Castel Volturno. La serata che passò alla storia come quella dell’ammutinamento. De Laurentiis minacciò e persegui la via giudiziaria; i giocatori in campo sembravano fantasmi (tranne che in occasione dell’1-1 a Liverpool, fondamentale per la qualificazione agli ottavi di Champions) e Ancelotti venne esonerato proprio quando l’arrivo di Ibrahimovic era cosa ormai fatta.
Fondamentalmente, De Laurentiis fece fuori solo l’allenatore e si rimise nelle mani dei calciatori anche se poi li portò in tribunale. Fu una resa sin troppo evidente. Arrivò Gattuso che non a caso si schierò col gruppo, e persino con lui ci fu una serata di ritiro volontario.
Resta quella, a nostro avviso, la frattura da cui il Napoli non si è mai ripreso. De Laurentiis commise errori in fila: mandò la squadra in ritiro senza l’ok di Ancelotti, esonerò il tecnico invece di fare un repulisti nello spogliatoio, assunse un allenatore con cui ha fallito due qualificazioni Champions di fila. E due anni e mezzo dopo si è ritrovato nella stessa, identica situazione. Con l’aggravante che l’allenatore esonerato è finito al Real Madrid con cui sta vincendo il campionato e martedì giocherà la semifinale di Champions.
Il ritorno al ritiro evidenzia chiaramente che il Napoli è un’azienda dove non c’è alcuna fiducia. Che in questi due anni e mezzo nulla si è costruito dal punto di vista della coesione ambientale. Si è solo provato a nascondere la polvere sotto il tappeto. E, lasciateci aggiungere, tutto ciò aumenta i meriti di Spalletti che ha il torto – a nostro avviso – di aver portato questo gruppo a lottare per obiettivi impensabili visto il clima in cui si lavora.
Ma, soprattutto, due anni e mezzo dopo riaffiora l’obsolescenza di De Laurentiis presidente che ha tanti meriti ma che proprio non riesce a evolversi. Che continua a perseverare nell’errore. Che ingaggia un allenatore per poi, invece di supportarlo, assumere il ruolo di giudice terzo. Di fronte alla folla, mostra il pollice o verso o all’insù. È l’eterno schema del Napoli. Resta sempre e solo De Laurentiis che poi ingaggia un altro allenatore. “Furono baci e furono sorrisi. Poi furono soltanto i fiordalisi” per dirla alla De André. Promesse di amore eterno. Che via via degradano in progressivo isolamento fino all’addio. Per poi ripartire. È un ciclo continuo.
Il mondo è cambiato. Il film sul Borgorosso è del 1970. Cinquantadue anni fa.