A Specchio: «Non sopporto la tendenza salutista per cui non bisogna fare nulla, né fumare o mangiare carne, come per arrivare intatti nella bara»

Su Specchio un’intervista a Fanny Ardant. Ha 73 anni, ha interpretato ruoli nei capolavori di François Truffaut, Alain Resnais ed Ettore Scola e lavora ancora tantissimo. Il suo ultimo film, “I giovani amanti”, diretto da Carine Tardieu, uscirà in Italia il 23 giugno.
«Trovo vergognose due cose nella vita: lamentarsi di pagare troppe tasse e d’invecchiare. Bisogna chiamare le cose con il loro nome: la vecchiaia è l’anticamera della morte. Quindi, bisogna dirsi: cosa ne faccio di questi ultimi anni? È come andare alla ghigliottina. Vuoi che ti ci trascinino sotto o vuoi arrivarci con dignità? O come essere nel mare: affronti l’onda? O la subisci? Io provo anche un certo piacere nella resistenza e nell’insolenza. È come se parlassi alla vecchiaia e le dicessi: non farmi incazzare».
Ha paura della morte?
«Neanche, forse perché, molto giovane, quando ho perduto persone che amavo, mi sono confrontata rapidamente al “mai più”. Potevo ritrovarmi al tavolino di un bar, all’esterno, e vedere un raggio di sole che colpiva un oggetto. Mi dicevo: questo momento non ritornerà mai più. In ogni caso non sopporto la tendenza salutista per cui non bisogna fare nulla, né fumare o mangiare carne, come per arrivare intatti nella bara».
Ricorda Scola e Gassman, con i quali girò “La famiglia” nel 1987 e “La cena” nel 1998.
«Erano due umanisti, ma uno, Vittorio, era timido, Ettore no. Scola era la vita in presa diretta, l’ironia, l’intelligenza. Io parlavo, volevo discutere di tutto. E lui mi diceva: “Come sei retorica Fanny!”. A me capitava di chiedere agli italiani che avevo intorno: “Sei felice?”. E loro mi guardavano con due occhi così, del tipo: ma è pazza questa? Ero molto francese. A Roma ho imparato una certa distanza, la nonchalance».
Su Gassman:
«Era melanconico, come me. Quando sono stata male, dopo la morte di François Truffaut, è stato molto presente e protettivo nei miei confronti. Più tardi, quando, a causa della depressione, è diventato più vulnerabile lui, ho cercato di rendergli quell’affetto. Sono stata io a volerlo proteggere. Non lo dimenticherò mai».