La piazza crede sempre di «meritare di più». Eppure Berna ha 38 presenze in Nazionale e 31 in Champions. Juan Jesus non ha insegnato nulla
«Un leone indomabile», scrisse La Stampa. Che addirittura si lasciò andare ad un «fenomenale» e alla considerazione che «senza di lui non ci sarebbe stata questa rimonta storica». «Quantità e qualità a livelli industriali», rincarò il Corriere della Sera. «Ha la forza del vento e l’eleganza di un dandy», sentenziò la Gazzetta dello Sport. Fu una pioggia di 8 e di 8,5. Erano i quotidiani all’indomani di Juventus-Atletico Madrid, ottavo di finale di Champions League, una partita marchiata a fuoco da una tripletta strepitosa di Cristiano Ronaldo che permise ad Allegri la rimonta su Simeone. Eppure queste non erano le pagelle del portoghese: erano i giudizi dei giornali su Federico Bernardeschi, che giocò una delle partite più belle con la maglia della Juventus.
A quei tempi, «Berna» era considerato un predestinato. La Juve l’aveva preso dalla Fiorentina per 40 milioni di euro. Aveva le stimmate del campione, riscuoteva un consenso pressoché unanime. Ed in effetti nell’ultima stagione viola, 2016/2017, l’Italia era incantata dai suoi gol (14 stagionali) e dai suoi tocchi di fino, che gli valsero l’esordio in Nazionale. Poi, come spesso succede in un Paese dove – per usare le parole di Maurizio Sarri – regna una frenesia tale che «un allenatore è un cretino se perde due partite o un genio se ne vince due» e «un attaccante una schiappa se sbaglia un rigore e un genio se fa un gol qualsiasi», Federico Bernardeschi s’è trovato vittima di una specie di vortice di negatività. È bastata qualche annata altalenante perché dal nuovo Baggio (definizione senz’altro eccessiva) diventasse, per la maggioranza dell’opinione pubblica, una specie di pippa (definizione altrettanto eccessiva). D’altronde l’equilibrio è merce rara al tempo dei social, al tempo delle Instagram stories che si cancellano dopo ventiquattr’ore, dove vale tutto e poi – il giorno dopo – il contrario di tutto.
E così l’idea sbandierata ieri da De Laurentiis in conferenza stampa («sto trattando personalmente l’ingaggio di Bernardeschi»), la cui veridicità peraltro è tutta da dimostrare perché se il calcio è bugia il calciomercato figuriamoci, ha scatenato i post e i tweet dei capiscers, di quegli indignados in salsa partenopea che credevano di «meritare di più» pure quando vennero presentati Hamsik e Lavezzi. Come se il presidente del Napoli avesse detto di essere in contatto con un calciatore di pessimo rango, che viene dalla terza serie americana. Ecco, per tornare sulla terra sarebbe bene specificare che Bernardeschi ha di certo tradito (almeno parzialmente) qualche promessa di troppo – e sarebbe interessante indagarne le ragioni, perché le qualità sono innegabili – ma stiamo pur sempre parlando di un calciatore che, al di là dei sei trofei vinti in bianconero, ha collezionato 31 presenze in Champions (condite da 2 gol e da 8 assist) e 38 presenze in Nazionale. E che con gli azzurri, peraltro, ha schiaffato in porta due palloni che un pochettino scottavano, in una semifinale e poi in una finale dell’Europeo.
Eppure era legittimo pensare che la vicenda di Juan Jesus – un altro accolto a Napoli come se facesse un altro lavoro, come scrisse qualche mese fa Mario Piccirillo – avesse insegnato qualcosina. All’arrivo del centrale di Belo Horizonte (che aveva giocato nell’Inter e nella Roma) si vociferava che fosse “raccomandato” da Spalletti, un po’ come il viceallenatore del Real Madrid era “raccomandato” da Ancelotti. E un po’ come si diceva – sempre dalle nostre parti – di Bernardeschi stesso, scelto in Nazionale al posto di Politano perché «raccomandato» da Mancini. Sarà che Napoli è la patria delle parentopoli, insomma, ma ridurre tutto alla spintarella (forse per invidia) è prassi consolidata. Chiunque ottiene un risultato è raccomandato (quando non ha culo, chiaramente: il culo è l’altra variabile).
Bene, tutto questo (anche) per scrivere che Bernardeschi è un ottimo calciatore. Che sarebbe un buon acquisto per il Napoli. Che potrebbe integrarsi bene con il credo tattico di Spalletti. Che potrebbe ricoprire diverse posizioni in campo, come ha dimostrato alla Juventus. Che a una buona tecnica di base abbina un metro e ottantacinque d’altezza e quindi arricchirebbe ulteriormente la squadra in termini di fisicità, nella direzione richiesta dal tecnico. E che metterebbe al servizio della squadra un bel po’ di esperienza internazionale. Pensate poi se riuscisse, e le referenze di Spalletti in questo senso sono più che positive, a recuperare lo smalto dei tempi migliori e rilanciarsi a un livello ancora superiore. D’altronde ventotto anni non sono tanti e il contesto, per la resa di un calciatore, può fare la differenza. Arriverà? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che se arrivasse, lo scetticismo sarebbe davvero fuori luogo.