Il mito del motociclismo al Corsera: “Ho detto no alla Ferrari, ma darei le mutande per tornare a correre anche solo un giorno”

Giacomo Agostini si considera un “sopravvissuto” e un “imbattibile”. Compie 80 anni il prossimo 16 giugno. E’ il mito delle corse in moto. Ha vinto quindici mondiali, 123 vittorie gare. E al Corriere della Sera che l’ha intervistato racconta un mondo che non c’è più, anche se in pista è rimasta la paura e la morte.
“Nonostante fossi attentissimo, mi rendevo conto che poteva succedere qualcosa di grave in un secondo. C’è chi dice che bisogna saper cadere. Balle. Quando cadi non sai mai come va a finire. Eppure prevaleva l’idea che a me, in fin dei conti, non sarebbe accaduto nulla di tremendo. Viene giù un aereo e vai all’aeroporto pensando: beh, non accadrà un’altra volta. È un po’ lo stesso. Fortuna, destino, chissà: sono volato in un prato enorme, niente. Bill Ivy è caduto nello stesso prato, c’era un pilastro, l’ha centrato in pieno. Vado al Tourist Trophy, guardo le strade, conto i morti e mi chiedo: io correvo in un posto così? Più cresci, più pensi. A un certo punto dissi basta. Ma su quell’isola avevo già vinto dieci volte. Certe riflessioni non comparivano. Spericolatezza e spensieratezza. Aggiungi l’esperienza e vai ancora più forte. Sino a quando la memoria di ciò che hai visto, delle tragedie, fa scattare un freno interiore. La ragione, se sei arrivato sano e salvo sin lì, ti protegge”.
Moglie andalusa, due figli, Victoria e Giacomino.
“Non volevo sposarmi, mi sono deciso a 46 anni. Molti colleghi portavano in pista la famiglia. Vedevo i bambini salutare papà in griglia. Pensavo: non riuscirei mai a farlo. Si moriva in un attimo allora. Più avanti è stato più facile ed è stato bello condividere, crescere i figli, volersi bene, comprenderci”.
Disse no alla Ferrari:
“Enzo Ferrari mi fece provare una macchina a Modena. Disse: se vuoi correre con noi il posto c’è. Ero lusingato… caspita, la Ferrari! Tre giorni e tre notti a riflettere. Alla fine pensai che avevo scelto la moto sin da bambino, che la mia passione era quella lì. Come un dono ricevuto misteriosamente. Vincevo, ero felice: perché tradire ciò che la natura mi aveva dato?”.
I campioni sono ossessionati e ossessivi:
“Ai meccanici dell’MV, espertissimi, facevo una quantità di domande, volevo controllare questo e quello anche se ero l’ultimo arrivato. Si indispettivano, mi frenavo. Sino a quando saltò una catena non verificata. Da allora fu rispetto reciproco. Desideravo che tutto fosse al cento per cento. Sì, ma dovevo essere allo stesso livello pure io. Cominciai a prepararmi fisicamente, a curare l’alimentazione, ad evitare di fare la bella vita. Alle 23, a letto. Solo. Trasgredii una sola volta, a Riccione, era una bella sera, era bella la ragazza e stavamo su un gommone cullato dall’acqua. Pentitissimo. Il giorno dopo vinsi ma non bastò a farmi cambiare regola”.
Poteva fare l’attore per Pietro Germi, ha la fama del playboy (“Ero giovane, celebre, non brutto. Ma è accaduto ben meno di quanto si creda”, ha conosciuto i grandi del mondo.
“Muhammad Alì, una serata insieme, io affascinato dalla sua personalità, da quell’eleganza straordinaria. Marcos, presidente delle Filippine e sua moglie Imelda che mi invitò a ballare, alta ben più di me, mi vergognavo da matti. Gianni Agnelli. Una volta lo incontrai circondato da amici e amiche, compresa una mia fidanzatina. Ma come, avvocato, mi ruba le ragazze? Saragat e Ciampi, presidenti della Repubblica che mi hanno nominato cavaliere e commendatore”.
Ma la verità è che lui vorrebbe solo tornare a correre in moto:
“Darei anche le mutande pur di tornare a fare quello che ho fatto. Anche per un giorno. Intensità assoluta. Nulla di comparabile”.