È tesserato alla Sezione di Sala Consilina. «Chissà quanti corpi ci sono laggiù, in fondo al mare. Sogno di tornare in Gambia per arbitrare la finale di Coppa d’Africa»
L’edizione odierna di Avvenire racconta la storia del primo arbitro migrante, tesserato alla Sezione di Sala Consilina. Si chiama Mustapha Jawara, ha 22 anni. È gambiano, di Sanunding. E da quel villaggio remoto dell’Africa occidentale, con tanti altri ragazzi, è cominciata la sua fuga, quella sua rotta impervia e incerta del “backway”. È musulmano, fedele al suo Dio: Allah.
«Sono andato via dal mio villaggio, fatto di quattro strade, perché là un futuro non ce l’avevo. Volevo fare la scuola di inglese, ma mio padre non era d’accordo, così mi hanno mandato in un altro paese e ho frequentato la scuola coranica. Al villaggio ho lasciato un fratello e una sorella più grandi che però non hanno intenzione di seguirmi qui in Italia. I miei genitori li sento al telefono… Certo un giorno mi piacerebbe tornare a salutarli, ma sento che la mia vita e il mio futuro è qui e nel mondo del calcio italiano»
La tappa in Mali, e poi «il grande viaggio».
«In Mali ho imparato a fare l’elettricista, ma per mangiare procuravo i clienti all’autista per cui lavoravo. Stipendio? Una scodella di riso e 10 centesimi»
Il racconto è crudo: in macchina, ammassati come bestie, una ventina di persone. I piedi di qualcuno nella bocca di Mustapha e viceversa. I momenti in Libia sono durissimi…
«A volte steso sul letto, ad occhi aperti, mi capita di ripensare a quei giorni: sei lunghi mesi rinchiuso in una cella, mi sembrava di essere finito all’inferno. Il barcone? Tu paghi e speri di arrivare prima o poi in qualche porto, io ci sono riuscito e ringrazio Allah. Tanti non ce l’hanno fatta. Un ragazzo che era accanto a me in quella barca che era “gonfia” di uomini donne e bambini, non so se si è addormentato o si è sentito male, fatto sta che l’ho visto scivolare in acqua e non avevo la forza per riacciuffarlo… Stretti come sardine, non mi potevo muovere: ho guardato il pilota e quello con lo sguardo mi ha detto, “non possiamo farci niente”… Chissà quanti corpi ci sono laggiù, in fondo al mare?»
Lui è riuscito a scampare alla legge del mare, grazie a una nave della Marina Militare. È attraccato a Salerno a sedici anni. Una vita a Polla. Anzi, una seconda vita.
«Ho studiato l’italiano e mi sono iscritto all’Istituto Alberghiero fino al terzo superiore. Ma i libri e il cameriere non è mestiere per me, ho preferito fare l’elettricista. Un lavoro che mi permette di portare avanti la mia grande passione, che avevo già da bambino quando ero in Gambia. Barrow e Jawara, i due campioni gambiani del Bologna, ma anche Darboe della Roma, sono la dimostrazione che il mio Paese è una palestra per tanti talenti che, spesso riescono a giocarsela nei maggiori campionati europei. Io non sono mai stato un buon calciatore e quando guardavo le partite alla tv, più che il gesto del fuoriclasse mi ha sempre attratto quello che faceva l’arbitro».
Il sogno è diventato realtà. L’esordio nel 2021, a Palomonte. Campionato esordienti. L’emozione all’inizio, poi dice di essersi divertito. Ha arbitrato anche in Seconda categoria. Ramaglia, il Presidente del Comitato Regionale degli Arbitri della Campania s’è sperticato negli elogi: Mostapha – dice – è uno che sa controllare le sue emozioni, riesce a mantenere la lucidità: è la vera forza del buon direttore di gara. Il razzismo?
«Nessuno si è mai permesso di mancarmi di rispetto o di fare allusioni per il colore della mia pelle. A Polla poi, tutti mi vogliono bene e c’è sempre stato qualcuno disponibile ad aiutarmi in caso di bisogno. Fin dal primo giorno tutti mi hanno fatto sentire come a casa, anzi meglio»
Il suo grande sogno? Tornare in Gambia per arbitrare la finale di Coppa d’Africa. E si prepara per realizzarlo.
«Dopo il lavoro vado a correre. L’Aia mi invia WhatsApp con i programmi di allenamento personalizzati: tipo, fare i 50 metri in 40 secondi, eseguire le ripetute necessarie a stare sempre in forma. Poi passo molto tempo a rivedere i filmati delle partite, studio e imparo continuamente dalle riunioni tenute nella mia Sezione Aia dagli arbitri più esperti. Cerco di migliorarmi gara dopo gara e mi dà tanta forza la fiducia che avverto da parte dei dirigenti arbitrali, degli osservatori e anche delle persone che su facebook mi incitano ad andare avanti… Sui social mi sono arrivati tanti messaggi e i più graditi sono stati i complimenti di ragazzi del Senegal che mi scrivono: “Da giovani africani siamo fieri di quello che sto facendo”»