Un pamphlet contro la squadra più tifata in Italia. Il luogo utopico di un mondo senza Juventus si chiama Magat (senz’acca) proprio com e Felix
Chiamato a commentare l’ormai acclarata fallibilità dei referendum abrogativi, il costituzionalista Michele Ainis fu piuttosto netto: «Bisogna abolire il quorum. E allora vedremo finalmente la mobilitazione generale per sostenere le ragioni di una o dell’altra parte».
C’è un’altra strada meno ambiziosa, ma comunque praticabile per migliorare un Paese finora irriformabile, inemendabile, fondamentalmente cialtrone come il nostro? Sì, ed è un’idea meravigliosa, un’ipotesi di scuola che si basa su un assunto provocatorio e ironico al tempo stesso: abolire la Juventus. Poiché la (mezza) Fidanzata d’Italia o la Fidanzata di mezza Italia incarna tutte le storture e le ingiustizie di una nazione malata, si può e si deve elaborare un programma per cambiare con il lavoro, la programmazione e con il talento l’incancrenito status quo.
Lo teorizza Pompeo Di Fazio, funzionario pubblico, giornalista pubblicista, con il gradevolissimo pamphlet intitolato, appunto, “Aboliamo la Juventus, proposta per la ri-nascita dell’Italia”, 47 pagine per i tipi di Guida Editori.
E’ un libello colto e originale scritto in punta di penna da uno dei pochi tifosi del Napoli censiti al di là fiume Liri, Ciociaria piena, folgorato dai palleggi di Maradona in quell’afoso 5 luglio 1984 nello stadio San Paolo, che traboccava di folla adorante. Galeotto il segnale spurio di Rai 3 Campania che arrivava dalle sue parti: per Di Fazio fu amore a prima vista e l’inizio di una battaglia impari contro torme di coetanei bianconeri, romanisti e laziali.
Da allora, terminata l’esaltante parentesi maradoniana, sono arrivati più dolori che gioie. Non solo nel calcio, ma anche in politica, che sono poi i due principali metri di classificazione sociale.
A Di Fazio, che si considera idealmente il ragazzo cinese che cerca di fermare il carrarmato, in una surreale livrea bianconera, in piazza Tienanmen, non sono bastate la retrocessione del Napoli, la fallita rivoluzione sarrista e lo scudetto perso in un albergo di Firenze, ma ha dovuto ingoiare, da antagonista nato, anche l’irresistibile avvento del grillismo e la sua solenne pretesa di redimere l’Italia. Quando lo stato maggiore dei 5Stelle annunciò dal balcone di Palazzo Chigi, urbi et orbi, l’abolizione della povertà c’era un tizio in piazza che agitava un cartellone con su scritto: “Onesta”. «Ma io lo conosco, è del mio paese… Ed è pure juventino».
Basta, la misura è colma. Bisogna dunque organizzare la resistenza allo juventinismo e gettare le basi per un’Utopia. Magari una città nuova dove la Juventus sia abolita per decreto e introdotti i regolamenti del giudice Guariniello. Una Città del Sole dove basti dire “Abbasso la Juve” per diventarne legittimi abitanti. Il nome perfetto sarebbe Magat, che nella lingua germanica significa ragazzo. Magat, conosciuta con l’appellativo di Felix. Un rimando neanche tanto velato alla gioia indotta da uno dei tanti tracolli juventini nelle finali di Coppa Campioni. Anno di grazia: 1983.
Il precetto fondante per vivere a Magat è comportarsi sempre, «in pensieri, parole e omissioni come un antijuventino per evitare i disvalori bianco e neri».
Magat, un luogo scevro da ingiustizie e sotterfugi da indicare come modello ai giovani e in primis alla figlioletta, per insegnarle il senso delle cose, che vanno meritare e raggiunte. L’unica precauzione, stranamente non prevista nel saggio, sarebbe isolare questo luogo magico e sterilizzare qualunque malapianta nel raggio di chilometri per evitare che un giorno, in età della ragione, l’amata figlia, di ritorno da un Altrove, si presenti sull’uscio di casa: «Papà, ti presento Luca, il mio fidanzato. E’ juventino…».