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La nuotatrice che stava affogando ai Mondiali senza che nessuno se ne accorgesse

Anita Alvarez è stata salvata dalla sua allenatrice. Non ci sono video. Incredibile ma la storia, nel 2022, la fanno ancora una volta solo le foto

La nuotatrice che stava affogando ai Mondiali senza che nessuno se ne accorgesse

Ieri ai Mondiali di nuoto per poco non è affogata un’atleta: la statunitense Anita Alvarez ha chiuso l’esercizio del sincronizzato, ed è andata a fondo, inerte. Svenuta per un attacco d’ansia misto alla fatica. La sua allenatrice, la spagnola Andrea Fuentes, si è tuffata in acqua per soccorrerla, vestita, e l’ha riportata a bordo vasca. L’hanno rianimata in ambulanza. E non se n’è accorto quasi nessuno. Solo i presenti. Del dramma non ci sono video. Solo le foto. Nel 2022 – in un mondo ripreso minuziosamente da milioni di telecamere pubbliche e private – ai Mondiali di nuoto la storia la fanno le “vecchie” foto. Scatti. Che poi finiranno montati in sequenza per dare un movimento alle immagini, come si faceva per i cartoni animati.

La regìa internazionale non aveva telecamere puntate su Alvarez, in quel momento. Il video della Rai è, da questo punto di vista, simbolico: inquadra il pubblico. E dalle facce della gente capisci che sta accadendo qualcosa di grave. La cronaca di sponda, come riflessa nello specchio delle reazioni emotive. I telecronisti, dopo cinque minuti, in diretta, hanno minimizzato: “Eccola, la vediamo un po’ provata a bordo vasca ma non è niente”. I primi lanci di agenzia si basano sulla foto del “ripescaggio” dell’Afp. La migliore, che trionferà sulle home di tutti i siti in poche ore è di Getty.

Fuentes, l’allenatrice, ha raccontato a Cadena Ser El Larguero cosa è successo:

Gli atleti cercano il limite del corpo. A volte lo trovano. Ho visto che i bagnini non si sono buttati in acqua perché paralizzati. Ho urlato dall’altra parte di tuffarsi subito. Erano sbalorditi e sono andata io. Ho capito tutto da come stava affondando e ho nuotato il più velocemente possibile. Ho fatto l’apnea più veloce della mia vita, più di quando mi preparavo per le Olimpiadi. La polo da sola pesava 20 chili. L’ho afferrata e l’ho tirata fuori, ma ho visto che non respirava e la mascella era chiusa e dura. L’ho schiaffeggiata due volte e le ho urlato: ‘Anita respira!’. E lei non respirava. Il bagnino la teneva a faccia in su. Nel primo soccorso ti insegnano che quando uno non respira, bisogna voltarlo e io le ho girato la testa perché l’altro, il bagnino, non sapeva cosa fare. Ho dovuto soccorrerli entrambi, l’altro non sapeva nemmeno nuotare bene. Capisco di essere un’atleta da Olimpiadi e che so nuotare più velocemente. Lui voleva fare il suo lavoro, io volevo farla uscire prima possibile e pesava troppo. Alla fine l’abbiamo tirata fuori, l’hanno messa supina sulla barella e io ho insistito sul fatto che non respirasse e che dovevano girarla. Dopo due minuti ha iniziato a respirare”.

La nuotatrice, che ha partecipato ai Giochi di Rio 2016 e Tokyo 2020, aveva già perso i sensi l’estate scorsa durante il singolo di qualificazione olimpica. Era stata visitata dai medici, non le avevano riscontrato niente che le impedisse di tornare ad allenarsi.

La vicenda, col lieto fine, richiama alla memoria gli ultimi Europei di calcio, quando Eriksen crollò in campo in Danimarca-Finlandia. E’ l’altra faccia della stessa medaglia comunicativa. In quel caso i compagni di squadra fecero capannello, formarono una barriera umana a protezione della privacy del loro amico in pericolo di vita. Per difenderlo dall’invadenza ormai fisiologica delle telecamere, e del voyerismo televisivo. Anita Alvarez invece s’è ritrovata in un rarissimo buco nero mediale. Le foto hanno fatto la storia, una volta di più. Come nel Novecento. Ed è banale notare che le centrali di produzione dell’intrattenimento sportivo hanno cominciato ad usare questo potere – se non lo vedi non esiste – per converso. Il caso della finale di Champions è altrettanto esemplare: obiettivi puntati dentro lo stadio, mentre fuori si sfiorava la strage. Bastava non guardare, distogliere lo sguardo.

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