Il portiere dell’Atletico Madrid a France Football: «L’aspetto fondamentale è trasmettere sicurezza ai compagni. Il dibattito sul gioco esiste solo quando si perde»
France Football intervista Jan Oblak, sloveno, grande portiere dell’Atletico Madrid.
La cosa più importante è il posizionamento. Sugli spalti, le persone tendono a pensare che il miglior portiere sia colui che fa parate spettacolari. Non credo sia sempre vero. Spesso un portiere fa una parata spettacolare perché non era ben posizionato all’inizio dell’azione. Se sei posizionato nel modo migliore, non sei costretto a fare cose eccezionali. A mio parere questo è l’aspetto più importante – ma anche il più difficile – per un portiere: far sentire alla squadra che lui è in controllo. Quindi più sei in anticipo, meglio è. È fondamentale: devo far vedere ai ragazzi, o far credere loro (sorride.), che tutto è facile. Cerco costantemente di trasmettere questa sensazione di fiducia ai miei compagni di squadra.
“Il calciatore che arriva all’Atlético con uno stile diverso, deve rapidamente acquisire la mentalità colchonera. Altrimenti scalderà la panchina. Lo so, alcune persone dicono che non giochiamo bene. Ma le persone se lo chiedono soprattutto quando perdiamo. Quando vinciamo, c’è meno dibattito. Torniamo sempre allo stesso punto: tutto ciò che conta, alla fine, è il risultato. Il nostro piano è vincere. Soppianta tutto.
«Sono stato così fin da piccolo, non ho mai voluto dare spettacolo. Sai, la maggior parte dei bambini tende a voler tuffarsi, gettarsi a terra, mostrarsi. E non incolperò mai un bambino. Ma io già all’epoca volevo che sembrasse facile. Per dirla in un altro modo: volevo che nessuno si accorgesse del lavoro che stavo facendo. Deve essere qualcosa che ha a che fare con la mia personalità. Ma attenzione: non giudicherò mai quelli che sono più spettacolari di me! Se è il loro stile, se stanno bene così, ok. È il nostro mondo che è così, vuole che li notiamo di più. Quel che è certo è che non cambierò mai. Anche se mi renderebbe più noto. Ma non sarei io. Ciò che conta è essere in grado di essere orgogliosi di te stesso e che i tuoi genitori possano riconoscere in te, anni dopo, i valori che ti hanno instillato».