L’ex tecnico dei francesi a Infobae: «I tifosi non attribuiscono la giusta importanza alla vittoria del campionato, non c’è nemmeno eccitazione per la vittoria»
Mauricio Pochettino parla della sua esperienza come allenatore del Psg a Infobae. Pochettino è stato esonerato al termine della scorsa stagione.
«È stata un’esperienza positiva. Le esperienze devono sempre essere capitalizzate e bisogna sempre imparare da esse. Siamo esseri razionali che devono pensare in questo modo. Dal punto di vista sportivo abbiamo vinto Supercoppa, Coppa di Francia e campionato in un anno e mezzo ma è chiaro che il progetto del Psg è vincere la Champions e se non ci riesci è considerato un fallimento. In ogni caso è un fallimento di 50 anni, non solo della scorsa stagione. Sono 10-11 anni che il Psg compra giocatori e ha come obiettivo vincere la Champions e credo che ce la farà perché ha le risorse, ma a volte nel calcio non accade ciò che si desidera, piuttosto ci sono fattori che non possono essere controllati».
Si è parlato molto di quegli ultimi trenta minuti al Santiago Bernabéu contro il Real Madrid e in questo momento, con il cambio dello staff tecnico, si parla di chiamare uno psicologo.
«Allora dovremmo mettere uno psicologo al Chelsea, uno al Manchester City, uno al Liverpool e in tutte le squadre che hanno affrontato il Real Madrid. Credo che ci siano circostanze nel calcio che accadono e che non possono essere controllate. Penso che il fallo di Benzema a Donnarumma esistesse e se fosse stato rivista al VAR oggi si parlerebbe di altro, dell’eliminazione del Madrid».
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«Questo è il calcio e non si deve andare oltre quella che è un’analisi calcistica. È un gioco in cui, molte volte, il fattore fortuna e ovviamente il fattore emotivo influiscono, ma non credo che siano un problema così evidente o rilevabile che devi rivolgerti a uno psicologo. Sono cinquant’anni che sento parlare dell’aspetto psicologico nel calcio ma fino ad ora nessuno ha trovato una soluzione e nessuno ha dato le linee guida per fornire alle squadre risorse o strumenti per poter cambiare in un dato momento».
A chi ha tanto da perdere spesso capita di avere paura in campo.
«Se torniamo indietro nel tempo, vedremo che è sempre successo, e soprattutto in Champions League, ma anche in Coppa Uefa o Copa Libertadores o nei Mondiali. La squadra che non ha niente da perdere si prende dei rischi. La squadra che sembra averla già vinta, vuole proteggersi e alla fine finisce per concedere qualcosa, a volte in modi non normali».
A Parigi, dice, si pensa solo alla Champions.
«Nel progetto Psg, man mano che va avanti, la pazienza è sempre meno, la pressione è maggiore, ma le circostanze sono quelle che sono. Il tifoso non attribuisce la giusta importanza al dominare il campionato francese o le competizioni nazionali. Quest’anno abbiamo vinto il decimo scudetto storicamente alla pari del Saint Étienne, le due squadre che hanno vinto più titoli del campionato francese. Penso che sia molto sottovalutato, non è valorizzato, ma ovviamente quando vinci è un obbligo e se non vinci sembra che sia stato un disastro totale. Non c’è nemmeno eccitazione per la vittoria. Tutto è incentrato sulla Champions e a volte questo distrae un po’».
Gli chiedono che tipo di allenatore è.
«Credo che il calcio appartenga ai giocatori. La verità è che noi allenatori abbiamo l’opportunità di stare con grandi calciatori, alla fine il calcio è dei calciatori. Se hai giocatori che possono prendere palla da dietro, giochi così perché tecnicamente sono bravi, penso che qualsiasi allenatore, di qualsiasi divisione, di qualsiasi formazione e di qualsiasi nazionalità, proverebbe a giocare da dietro se ha la possibilità di farlo. Se non ho i giocatori giusti non posso mettere a rischio la squadra giocando da dietro. Ognuno ha il suo stile, ma è chiaro che tutti si attaccano molto di più a chi vince o a chi ha la possibilità di vincere. Quando avrai dei buoni calciatori forse avrai molte più possibilità di vincere e poi credo nelle caratteristiche o nelle capacità che hai per fare una squadra. Se hai, come il Liverpool o il Manchester City, una struttura che difende l’allenatore, che si fida dell’allenatore, che gli dà gli strumenti e una parte economica per poter creare e sviluppare un progetto calcistico, con le caratteristiche dei giocatori per l’idea che si vuole realizzare, sarà molto più facile che per l’allenatore del Girona o Espanyol o da Southampton. Ma se mi chiedi qual è l’ideale del calcio che sento, è il calcio offensivo, il dominio dell’avversario, la pressione».