A dicembre uscirà il sequel. Il tema dell’ambientalismo salvifico oggi è ancora più sentito rispetto al film di James Cameron
“Io aspetto Avatar 2”. Soprattutto con le persone attorno ai trent’anni – ma non solo – la frase che si ripete è questa, e per un film – in tempo di crisi al cinema – è già un buon viatico. Ma perché “Avatar” – uscito nel 2009 -, ma al cinema in questi giorni come promemoria per l’uscita del secondo “Avatar, la via dell’acqua” che sarà in sala a dicembre, è rimasto nel cuore dei cinefili? Siamo andati al cinema per rivederlo e lo abbiamo trovato più bello al netto dei premiati effetti speciali.
La storia è nota: il marine di ricognizione Jake Sully (Sam Worthington) entra per la morte del fratello – per sostituirlo – in un programma che prevede la creazione di un suo avatar che viene creato mescolando dna di un mortale con quello di un indigeno del pianeta Pandora. L’avatar viene attivato con un link e Jake e il suo avatar sono un po’ come Castore e Polluce. Tutto questo nasconde una pericolosa mescolanza di interessi tra esercito americano e un’azienda che vuole estrarre un cristallo (l’unobtainium) che si trova al di sotto dell’Albero casa domicilio magico dei nativi Na’vi. Jack – con il suo avatar – riesce ad entrare in contatto con il popolo di Pandora, e ad integrarsi con loro: ma il suo interessamento nasconde un doppiogioco…
Il finale lo lasciamo a chi vorrà vederlo per la prima volta, noi in quest’articolo vogliamo interrogarci sul perché di questo successo duraturo. James Cameron – regista e sceneggiatore di Avatar – ha creato un mondo fantastico che tiene alla visione perché lo spettatore ne coglie una genuinità autentica. Sappiamo tutti che sono due i generi vincenti di questo tempo liquido: il fantasy e lo science (sci). Ma solo in Dune ed in Avatar abbiamo trovato costruito dei mondi fantastici credibili – in Avatar questa costruzione è ancora più complessa che nel romanzo di Frank Herbet e dei successivi film. Il tema dell’ambientalismo salvifico, del rispetto panico della natura vs quelli della guerra distruttrice in ragione di uno sviluppo non armonioso, sono oggi ancora più cogenti rispetto al sentire di 13 anni fa. Che possa essere il cinema il mezzo-veicolo che ci porterà alla presa di coscienza politica di quest’urgenza oramai non più rimandabile?