Al CorSera: «A Roma andavo dal macellaio, dal fruttivendolo, a fare una passeggiata in via Veneto, i calciatori oggi non si godono niente, stanno sempre chiusi, soli»
Il Corriere della Sera intervista l’ex attaccante Ciccio Graziani, campione del mondo nel 1982. Oggi fa il commentatore a Sport Mediaset XXL e per Pressing, su Italia 1. Racconta le prime partitelle con i benedettini del convento di Santa Scolastica, dove lo zio faceva il portiere e la famiglia.
«Mamma cucinava bene, però non c’erano tanti soldi, il pasto nostro era broccoli e patate ripassati, il pollo o il coniglio soltanto la domenica, io sono cresciuto a frittata e mortadella. E la mattina, prima di scuola, l’uovo sbattuto con lo zucchero».
Quattro figli, due maschi e due femmine, Graziani il più piccolo: era anche il cocco di casa?
«Un pochetto. Quando mamma preparava la polenta, la versava sulla spianatora di legno in mezzo al tavolo e ci metteva una salsiccia per ciascuno. C’erano dei confini stabiliti entro cui potevi infilare la forchetta, da sedia a sedia, ma i miei fratelli spesso si rubavano pure la mia porzione, allora lei me ne regalava metà della sua».
Papà Antonio era muratore.
«Usciva alle 6 di mattina e tornava alle 7 di sera, era sempre stanco, ma buono come il pane, mai uno schiaffo. Era mamma che mi gonfiava come una zampogna perché rompevo un paio di scarpe a settimana per giocare a pallone. O perché le avevo fregato qualche spicciolo dal borsellino per le sigarette, o mi dimenticavo di comprare il latte. “Ohi mà, la partita non era finita!”. Uh, quante me ne ha date! Ogni tanto agitava il mattarello, ma solo per mettermi paura».
A 12 anni Graziani era aiuto imbianchino.
«D’estate, con mio fratello, scartavetravo le persiane o i cancelli e poi ci davo due passate di vernice. Ho imbiancato pure i muri dell’autoscuola del padre di Gina Lollobrigida».
Agli inizi fu scartato perché troppo gracile.
«Non passai il provino con Roma, Lazio e Juve, ero così secco che mi facevi la radiografia con un accendino. Mi presero al Bettini Quadraro, zona Cinecittà, e dopo all’Arezzo. Nel frattempo ero cresciuto, forte e robusto. Ma papà non ha mai visto una mia partita, nessuna, nemmeno in Nazionale, gli veniva l’agitazione. Però quando segnavo pagava da bere agli amici dell’osteria».
Graziani racconta com’è fare gol.
«Una felicità enorme, un’emozione meravigliosa che ti scoppia nel cuore. Dura poco, sette, dieci secondi, ma sono i più belli della tua vita».
Una volta infilò i guantoni e giocò in porta.
«Coppa dei Campioni 1976-77, gara di ritorno, Torino contro Borussia Mönchengladbach, in trasferta. Minuto 71. Eravamo rimasti in otto, espulsi Caporale, Zaccarelli e pure il portiere Luciano Castellini. Il mister Radice scelse me. “Ciccio, vai tu in porta”. La mantenni inviolata. Il pubblico di Düsseldorf alla fine tifava per noi, a ogni mia parata partiva l’applauso».
Da ragazzo portava i capelli lunghi.
«Quando li avevo, sì. Andavano di moda, li curavo molto. Ero un bel ragazzetto, eh. Ci tenevo al look, la domenica vestirsi era un rito. A 13 anni volevo i pantaloni bicolori e scampanati di Celentano, mamma non mi accontentava, così andai a Roma, a via Sannio, e ne comprai un paio quasi uguali alla bancarella, li pagai 8 mila lire».
Poi ha cominciato a guadagnare.
«Gli abiti di Versace mi mandavano al manicomio, giacche colorate, camicie a fiori, cravatte strane, mi sbizzarrivo, un megalomane, tutto abbinato. Di scarpe ne compravo poche, con il collo del piede grosso era difficile trovarle».
Tatuaggi?
«Mai piaciuti, le emozioni belle le porti dentro di te, non serve scriverle sulla pelle»
Cabrini riceveva tonnellate di lettere e regalucci dalle ammiratrici. A lei niente?
«Eh, Antonio era speciale, uno scapolone, io invece ero già ammogliato… Certo per noi era diverso, io a Roma andavo dal macellaio, dal fruttivendolo, a fare una passeggiata in via Veneto, ogni tanto mi chiedevano un autografo ma niente di che. In ritiro a Brunico giocavo a carte con i tifosi fuori dall’hotel, i calciatori oggi non si godono niente, stanno sempre chiusi, soli»
Dice di sé che ama farsi in quattro per gli altri.
«Mi faccio in quattro per gli altri, come in campo, ero felice se un compagno mi ringraziava, farsi volere bene è bellissimo».
In tv porta certe giacche sgargianti.
«Mia moglie mi supplica: “Quella no, ti prego”, ma io non la ascolto, mi piacciono i colori, i quadri. So che a Mediaset mi vorrebbero più sobrio, ma io sono così. Forse a volte ho esagerato con il giallo fosforescente e il verde acceso».
E quegli occhialini colorati.
«Li tengo in una vetrinetta, ne avrò ottanta».