Al CorSera: «Eravamo al festival di Saint Vincent. Poi mi presero nella nazionale cantanti. Nei ritiri mi mettevano a palleggiare contro il muro».
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Il Corriere della Sera intervista Riccardo Fogli. La sua storia è legata ai Pooh, con i quali iniziò a suonare nel 1966 e che lasciò nel 1972 dopo essersi innamorato di Patty Pravo («Eravamo due ragazzi. Ci presentarono. Ci guardammo. Nel giro di qualche ora eravamo nella stessa camera»). Racconta la sua infanzia, le prime esperienze con i Pooh, le difficoltà economiche che ha dovuto sopportare. E che a pallone ha iniziato a giocare con Gianni Morandi.
Da solista il successo è arrivato al Festival di Sanremo del 1982, con “Storie di tutti i giorni”.
«I guai erano arrivati prima. Non avevo più soldi, solo cambiali. Il produttore Alfredo Cerruti, ex fidanzato di Mina, mi prestò 5 milioni di lire per comprarmi uno smoking, due camicie e due paia di scarpe. “Almeno fammi fare bella figura, guagliò”. Che poi arrivare primo a Sanremo non è mica come vincere al Super Enalotto, non ci diventi ricco, al massimo hai la possibilità di lavorare: infatti feci 150 concerti. Ma dopo quattro anni stavo da capo a dodici».
Si racconta da ragazzino, a scuola. Ricorda una terribile professoressa di italiano.
«Ricca e snob. Aveva l’abitudine di annusarci il collo, forse per controllare che ci fossimo lavati. Io ero povero, non sapevo di pulito, perché a casa il detersivo si usava dirado, come il sapone profumato. Il bagno si faceva al sabato, nella tinozza, prima io, poi mio fratello, quindi i nostri genitori. Mamma mi controllava le orecchie e ogni tanto mi spruzzava del dopobarba di papà. Non mi accorgevo nemmeno di essere povero, ero felicissimo, spensierato. Solo che il pomeriggio andavo all’oratorio e non potevo giocare a pallone per non rovinare le scarpe buone, che erano state di mio padre e di mio fratello. Per non disubbidire a mamma giocavo a ping pong, nel1963 sono stato campione italiano. E il primo calcio ad un pallone l’ho dato a 35 anni».
I primi calci ad un pallone Fogli li diede grazie a Morandi
Grazie a Gianni Morandi.
«Ero al festival di Saint Vincent. Gianni Morandi cercava l’undicesimo per una partita con i camerieri dell’hotel. Mi chiese: “Ma tu giochi a calcio?”. “Se vuoi ci provo”. E comprai gli scarpini. Mi scoprii difensore di fascia destra. E alla fine Gianni, Mogol e Sandro Giacobbe mi presero nella nazionale cantanti. Il mister nei ritiri mi metteva a palleggiare contro il muro. E fu allora che ho scoperto la passione per la corsa».
Fogli racconta di aver fatto due maratone di New York, oltre alla massacrante 100 km nel deserto del Sahara.
«Che poi sono 119. L’ho affrontata tre volte. Si parte da Djerba, 150 km di auto fino alla porta del deserto tunisino. Quattro tappe da circa 30 km, partenza alle 8 del mattino, arrivo dopo circa quattro ore, un centinaio di concorrenti, non tutti ce la fanno. Mi sono ustionato tutto da una parte sola. Ogni giorno c’era il Toto-Fogli. Gli altri partecipanti scommettevano: “Oggi Riccardo non arriva”. “L’hai visto ieri? Sarà tra gli ultimi dieci”. Ogni maratoneta riceve un kit di sopravvivenza: fischietto, cerini antivento, acqua, cerotti, crema solare, stantuffo succhia-veleno contro gli scorpioni».
Da ragazzo ha lavorato due anni alla Piaggio, «ero il postino interno, smistavo la corrispondenza». Quando la famiglia si trasferì a Piombino aprì con il fratello un’officina di gommista.
«Un fallimento, i clienti non pagavano, ci siamo riempiti di debiti».
I Pooh e Patty Pravo
Poi arrivarono i Pooh. Parla di Roby Facchinetti come di un fratello.
«Roby Facchinetti, il mio fratellone, il mio riferimento affettivo, allora e adesso. Eravamo i due “stranieri” — i Pooh si erano formati a Bologna — e dividevamo una stanzetta di una pensione con due letti e un lavandino. Ci raccontavamo tutto e insieme cercavamo di rimediare quelle 200 lire per mangiare».
Non ci fu rancore tra voi quando lei se ne andò per Patty Pravo?
«No, però ho sofferto molto la mancanza di un abbraccio. Di qualcuno che mi dicesse: “Ricky, dai, pensaci bene, sei sicuro?”. Che mi trattenesse. Non sono stato io a sbattere la porta. Fu il nostro produttore a farci dividere, convinto che la mia storia d’amore con una cantante così famosa potesse nuocere al gruppo. “Siamo rovinati”, ci annunciò tragico dopo i primi articoli sui giornali».
Il matrimonio con Patty, celebrato da un fabbro scozzese.
«Era il capo villaggio di Gretna Green, un paesino sperduto tra le montagne. Con la mano destra sull’incudine ci giurammo eterno amore. Io portavo un cappello a cilindro. Ma di quei tre o quattro giorni ho ricordi avvolti nella nebbia».