ilNapolista

I calciatori giocano per divertirsi. È questo che Ten Hag fatica a capire di Antony

Uno scontro che è paradigmatico del nostro tempo. La tattica che pretende una disciplina che alcuni mal tollerano. Zidane e le partitelle in strada con Davids

I calciatori giocano per divertirsi. È questo che Ten Hag fatica a capire di Antony
Bildnummer: 01648387 Datum: 26.06.1974 Copyright: imago/Colorsport Johan Cruyff (Niederlande, li.) am Ball, daneben Pedro Sa (Argentinien) - PUBLICATIONxINxGERxSUIxAUTxHUNxUSAxONLY; Holland - Argentinien 4:0, Johann Cruijff, Vdia, quer, Schuss, Schufl, schieflen, Ballannahme, Annahme, annehmen Weltmeisterschaft 1974, Nationalmannschaft, Nationalteam, Nationaltrikot, L‰nderspiel, 1. Finalrunde Gelsenkirchen Dynamik, Fuflball WM Herren Mannschaft Gruppenbild Aktion Personen

Siete Antony o siete Ten Hag? C’è il calcio nella polemica tra il brasiliano del Manchester United e il suo allenatore (che lo aveva anche all’Ajax e lo ha voluto con sé in Inghilterra). La vicenda è più o meno nota. Ieri sera in United-Sheriff di Europa League, sullo 0-0, Antony si è esibito in una doppia piroetta su sé stesso prima di servire (lungo) un compagno in profondità. All’intervallo l’allenatore lo ha sostituito. E poi, pur negando che si fosse trattato di una punizione, ha così commentato in sala stampa:

Non ho problemi con queste cose finché sono funzionali. Anche da lui, esigo di più: più corsa dietro, più spesso in area, più inserimenti e soprattutto più dribbling funzionali. Chiediamo più possesso in queste partite e quando c’è un giochino  del genere è bello purché sia ​​funzionale e non si perda la palla. Se attiri o superi gli avversari, va bene. Ma se è una cosa gratuita no”.

Paul Scholes, bandiera dello United di Ferguson, è andato giù duro: “Non so cosa stia facendo. È semplicemente ridicolo. Basta guardare Ten Hag (la sua smorfia è diventata virale, ndr), questo riassume quello che sta pensando. Non sta superando un uomo, non sta divertendo nessuno, poi calcia fuori la palla. È così che gioca. L’ho visto farlo molte volte anche all’Ajax”.

“Se hai intenzione di farlo, il passaggio deve essere buono”, ha detto un altro ex giocatore dello United, Owen Hargreaves. “Non puoi buttarla fuori, poi. Sullo 0-0 non lo fai, ma nemmeno sul 3-0 o sul 4-0, proprio per rispetto dell’altra squadra. I giocatori vogliono mostrare le proprie capacità ma devono essere funzionali”.

Oggi Antony ha risposto su Instagram: «siamo conosciuti per la nostra arte e non smetterò di fare ciò che mi ha portato dove sono».

Chi ha ragione? Che cos’è il calcio? La questione non è di così facile soluzione. Il rispetto per l’avversario è basilare, non ci piove. Ma pochi fanno i conti con una verità che sembra essere stata dimenticata: i calciatori si divertono a giocare a calcio, perciò sono diventati professionisti. Non sempre, magari non tutti si divertono. Ma la stragrande maggioranza sì. Ora il calcio è diventata una grande industria, un business importante. Le vite dei calciatori, soprattutto di quelli che hanno sfondato, che giocano in grandi squadre, è stata stravolta. Guadagnano stipendi stratosferici, nei loro casi fuori logica, sono sottoposti a pressioni quotidiane, sulle loro spalle vivono più famiglie: quelle dei parenti, dei procuratori e di tutto il loro entourage. Ma al fondo, se vivono questa vita, è perché amano giocare a pallone.

È questa in sintesi la risposta di Antony. È l’istinto che si rifiuta di aderire al processo industriale. Sono valide entrambe le correnti, se così possiamo chiamarle. Resta impresso il calcio sistemico, ma restano impressi anche i numeri d’alta scuola. Alzi la mano chi non è mai stato lì a rimirare il taconazo di Redondo contro lo United (ma in quel caso, direbbe Ten Hag, fu un numero d’alta scuola funzionale). Oppure il triplo sombrero di Cafu a Nedved prima che il Cholo Simeone (anche lui sombrerato) sbrogliasse la questione alla sua maniera.

Persino della grande Olanda di Cruyff si ricordano le giocate individuali: l’azione che portò al rigore del momentaneo 1-0 contro la Germania Ovest nel 1974; il gol in spaccata in semifinale contro il Brasile, o – con la maglia del Barcellona – la mitica rete all’Atletico Madrid (col papà di Reina in porta).

Quante volte avete visto la finta di Pelè nel 1970 al portiere dell’Uruguay Mazurkiewicz. Una finta che è passata alla storia. È incredibile, ci si ricorda decisamente più di quella finta che della conclusione dell’azione: il pallone finì fuori. Che cosa avrebbe detto oggi Ten Hag a Pelè? Di certo ricordiamo quel che Pelè disse in “Fuga per la vittoria” quando stavano parlando degli schemi per la partita. “Datela a me e io faccio così così così così e gol”. Maradona anche in questo era una splendida eccezione: limitava il suo essere fromboliere, lo utilizzava solo se poteva avvicinare la squadra all’obiettivo.

Recentemente in Spagna c’è stata una polemica molto accesa nei confronti di Vinicius accusato di voler irridere gli avversari. In realtà è il suo modo di giocare a calcio. Che cosa fare? Inquadrarlo per poi rischiare di ridurne l’allegria e il potenziale? O lasciarlo libero di esprimersi? Tema che è esistito e ancora esiste pure a Napoli. Per l’esuberanza e l’indisciplina tattica di Osimhen ma anche per Kvaratskhelia a lungo al centro di una surreale discussione (alimentata anche da Spalletti) sul suo essere o meno egoista.

È il calcio nella sua essenza che si ribella all’inquadramento tattico. O meglio, all’ingabbiamento tattico. La discussione tra Anthony e Ten Hag presto potrebbe non essere l’unico esempio di confronto di questo tipo tra un calciatore e un allenatore.

Un articolo del genere non può terminare senza la citazione di una memorabile confessione di Zidane sulle sue partitelle in strada con Davids:

“Un giorno dopo l’allenamento venne il mio grande amico Edgar Davids e mi disse: ‘Ti va di venire a fare una partitella in strada con dei ragazzi?’
Io gli risposi che era matto, che era una pazzia, o uno scherzo, e per di più era vietato dal regolamento del club per evitare infortuni’
Lui mi fissò serio e mi disse: ‘Zizou, sei cambiato, ti sei montato la testa…non ricordi gli inizi? Non ricordi quando giocavi in mezzo alla strada? Vieni con me, dimostrami che sei sempre lo stesso!’
Alla fine mi convinse, decisi di andare con lui per giocare una partita sull’asfalto. Ero consapevole di fare una follia, soprattutto con addosso la fatica per l’allenamento. Andai diverse volte con lui. Non è una leggenda la storia che vuole che io mettessi un cappellaccio da pescatore per andare a giocare con gli immigrati. A spingermi era sempre Edgar. Lui ci andava matto, lo faceva molto spesso: prendeva la macchina e quando vedeva qualcuno giocare in un parcheggio si fermava per aggregarsi. Ci divertivamo a giocare con quegli adolescenti che sembravano in estasi.
Mi diceva sempre: ‘E’ per loro che dobbiamo giocare, sono queste le partite importanti’. E io gli dicevo: ‘Ok, ma abbiamo gli allenamenti, apparteniamo a un club di alto livello, non possiamo rischiare di infortunarci’. Allo stesso tempo, però, lo ammiravo, perché era in grado di fare delle cose del genere’.

ilnapolista © riproduzione riservata