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Binaghi: «la visione di Malagò e del Coni è vecchia di cinquant’anni»

Il presidente della Federtennis a La Stampa: «Il sistema dello sport italiano è solito premiare fedeltà e demeriti. Se il padel fosse rimasto autonomo, ci avrebbe devastato»

Binaghi: «la visione di Malagò e del Coni è vecchia di cinquant’anni»

La Stampa intervista il presidente della Federtennis, Angelo Binaghi, alla vigilia dell’Atp di Torino. Tra i temi trattati anche quello politico. Binaghi è al suo sesto mandato, non è più ricandidabile. Gli viene chiesto se ha già scelto il suo successore.

«Ho troppo da fare ora. Ci penserò dal prossimo anno. Non conta chi lo farà, ma come sarà gestita la Federazione. Quasi il 90% del nostro patrimonio arriva dall’autofinanziamento figlio di attività commerciali come le Finals, il 10% dallo Stato. Il ministro dello Sport Abodi è stato chiaro, siamo un caso scuola. Vogliamo continuare così o tornare a 20 anni fa quando il tennis stava affondando?».

Binaghi si è scontrato duramente con il presidente del Coni Malagò per la vicenda dei giocatori russi agli Internazionali d’Italia. Racconta come sono adesso i loro rapporti.

«Quelli personali sono buoni. Ci divide proprio la visione sulla gestione dello sport. Quella del Coni è vecchia di 50 anni e lui pensa principalmente a difendere il suo modello dalla politica ma la riforma Giorgetti ha permesso di spendere i soldi pubblici con criteri oggettivi, premiando i meriti e non i demeriti».

Via libera quindi alla politica: non è rischioso?

«Porte aperte a ogni riforma per rendere più efficiente il sistema. A prescindere dalla provenienza. L’assioma del Coni è che noi dirigenti sportivi siamo i migliori e che i politici sono tutti degli incapaci. La pensavo così anche io all’inizio, poi ho cambiato idea. Uno dei mali del nostro sport è l’autoreferenzialità. Io rispetto Malagò perché è il presidente del Coni, ma esigo uguale rispetto nei confronti miei e della mia federazione».

Che cosa chiede al ministro Abodi?

«L’applicazione di due parole tornate di attualità: efficienza e merito. Ma non mi sento al sicuro, per farlo bisognerebbe smontare il sistema dello sport italiano che invece è solito premiare fedeltà e demeriti».

Si candiderà alla presidenza del Coni nel 2025?

«Non ci penso nemmeno, mi sarebbe piaciuto contribuire a riformarlo, ma mi sono quasi arreso. Da decenni non cambia nulla e alcune regole sono assurde».

Avete annesso il padel: vi succhierà praticanti?

«Se il padel fosse rimasto autonomo, i nostri circoli sarebbero stati devastati come 20 anni fa lo furono con il calcetto. E ci guadagna anche lo Stato senza tirare fuori un soldo: il padel ha un giro d’affari stimato in 700 milioni, paga l’Iva per 150».

Il padel diventerà olimpico?

«Questione marginale. Il tennis è cambiato da quando è diventato olimpico?».

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