Venne arrestato una prima volta con 44 chili di marijuana. L’imbarazzo dell’associazione arbitri: «Aveva dichiarato l’assenza di procedimenti penali»
Rosario D’Onofrio arrestato per traffico di droga. Scrive il Corriere della Sera che
era stato promosso a procuratore capo nazionale mentre si trovava ai domiciliari dopo essere stato arrestato a maggio 2020 con 44 chili di marijuana.
L’associazione italiana arbitri prova a difendersi in modo a dir poco balbettante:
«L’Aia non ha poteri istruttori per esercitare un’opera di verifica e controllo di quanto dichiarato dagli associati — spiegano i vertici degli arbitri —. Ci teniamo a ricordare che per assumere la qualifica di arbitro, l’interessato deve dichiarare l’assenza di procedimenti penali nonché di condanne superiori a un anno per reati dolosi in giudicato».
Nell’inchiesta «Madera» coordinata dai pm Rosario Ferracane e Sara Ombra della Direzione distrettuale antimafia di Milano, in realtà, il ruolo di «giudice disciplinare degli arbitri» non emerge, anche perché a D’Onofrio vengono contestati fatti che risalgono al periodo tra dicembre 2019 e il 20 maggio 2020, quando viene arrestato in flagranza dai finanzieri con un carico di 44 chili di marijuana. Finisce in carcere fino al 16 settembre 2020, poi due anni ai domiciliari. Sul fronte penale il caso si chiude con la condanna in abbreviato a 2 anni e 8 mesi e 6 mila euro di multa. Ma è proprio mentre si trova ai domiciliari che D’Onofrio viene promosso a «procuratore capo dell’Aia».
Il ruolo di D’Onofrio nell’indagine è soprattutto legato alla sua carriera militare. Si spacciava per ufficiale medico ma in realtà non aveva concluso gli studi. Viveva in Campania e quando era stato scoperto erano scattate una denuncia per usurpazione di titolo (vicenda chiusa con la messa in prova) e la sospensione.