A Repubblica. Sarà al Var del match inaugurale ai Mondiali. «Per noi era la moviola di Biscardi. L’arbitro bravo è quello che riesce a cancellare le polemiche»
Massimiliano Irrati è uno dei 4 arbitri italiani a Qatar 2022. Domani sarà al Var di Qatar-Ecuador; arbitro Daniele Orsato. Repubblica lo intervista.
Irrati, come si diventa “il migliore”?
«All’inizio eravamo pochi, ora la concorrenza è aumentata. Ma l’etichetta me la sono presa ormai, finché dura la tengo».
Ha capito subito di essere fatto per questo ruolo?
«Ero a mio agio fin da subito, dal 2017. Rizzoli, che ci dirigeva, e Rosetti mi identificarono tra i migliori in Italia quando fecero una selezione per il Mondiale in Russia. L’assenza dell’Italia e il fatto che in molte nazioni non fosse stato ancora introdotto il Var mi spianarono la strada. Feci 17 partite, comprese la partita inaugurale e la finale. Fu l’inizio di tutto».
È vero che all’inizio il Var non piaceva tanto agli arbitri?
Irrati: «Ci sono state resistenze, sì. L’impatto è stato molto forte. La prima volta che venne Rosetti a Coverciano a parlarci del Var la ricordo bene: aveva partecipato a un seminario ad Amsterdam su questa idea. Sarà stato forse il 2015. Lo guardammo come a dire “questo è pazzo”. Non riuscivamo a capire: per noi era la moviola di Biscardi, ci sembrava quasi un provocazione. Invece aveva capito per primo quale fosse il futuro».
Quando è che un arbitro smette di essere tifoso?
«Da bambino pensavo che avrei smesso quando, in Serie A, avrei iniziato ad arbitrare la squadra del cuore. In realtà smetti molto prima. Quando inizi ad arbitrare scatta qualcosa, guardi le partite della tua squadra seguendo più l’arbitro che i calciatori: quelli segnano ma tu guardi altro, nemmeno esulti più».
A volte però si sbaglia ancora: cosa scatta nella testa di un arbitro quando succede?
«A volte è talmente chiaro da subito che sei devastato, te ne rendi immediatamente conto dalla reazione dei calciatori. Ancora di più se sai che le conseguenze di un tuo errore sono gravi. L’arbitro bravo è quello che riesce in 3 giorni, un giorno, 12 ore, a cancellare le polemiche e a tornare in campo al livello a cui era prima».
Il desiderio di apparire per un arbitro esiste, però.
«Per me, un bravo arbitro è felice se non incide sulla partita. Se nessuno si ricorda di lui. Ancora meglio se sul giornale sbagliano il nome, vuol dire che non sei stato importante».